Al di là dello specifico focus di ricerca il disagio adolescenziale questo lavoro ci ha permesso di raccogliere importanti elementi conoscitivi di portata più generale, e che hanno a che fare con i processi di trasformazione sociale che interessano, da una parte, gli adolescenti, dall'altra gli adulti e le istituzioni che a questi adolescenti si rapportano. In particolare, è stato possibile centrare l'attenzione su tali processi nel corso dei Focus Group con testimoni privilegiati, realizzati in otto realtà provinciali rappresentative dell'intero territorio nazionale. I Focus Group, che hanno coinvolto complessivamente circa cento partecipanti, ci hanno consentito di raccogliere le opinioni di uno spaccato significativo degli attori delle politiche per l'adolescenza, provenienti dai diversi contesti istituzionali: sistema sanitario, sistema scolastico/formativo, giustizia minorile, sistema delle politiche sociali, terzo settore.
Il disagio scolastico, la demotivazione allo studio.
L'approfondimento qualitativo: i disagi della modernita'
Nei Focus Group (d'ora in avanti: FG) si è data attenzione agli aspetti qualitativi del disagio adolescenziale e si è mirato a identificare prevalentemente i fenomeni che si caratterizzano come "emergenti", ovvero quelle manifestazioni che, seppur talvolta non statisticamente determinanti, possono essere assunte come "segnali" di una tendenza già in atto e che si manifesta con una progressione evolutiva.
Un primo ambito problematico è quello relazionale. Oggi gli adolescenti sono immersi in reti relazionali sempre più ampie e complesse, e sembrano molto abili nell'attraversamento di diversi territori esperienziali e nella gestione di una moltitudine di relazioni. Tuttavia, si tratta spesso di relazioni che non riescono a passare dal livello della socievolezza di superficie, a quello di un più profondo ed impegnativo coinvolgimento personale.
A questo scenario si aggiunge l'influenza esercitata dagli strumenti di comunicazione tecnologica.
La 'modernizzazione' della società, l'avvento delle nuove tecnologie in particolare l'informatica ed internet hanno modificato le abitudini e gli stili di vita degli adolescenti in modo straordinariamente evidente. Fino a permetterci di pensare che la loro 'cognizione del mondo', la loro percezione dello 'spazio' esistenziale e relazionale, ha subito delle modificazioni profonde. Gli adolescenti del 2000 sono a pieno titolo la prima generazione che è stata culturalmente "nutrita" fin dalla nascita con media elettronici. Si tratta di una modernizzazione che, accanto agli aspetti di progresso, porta con sé anche il rischio della manifestazione di forme inedite di disagio.
L'esiguità del carattere direttamente 'esperienziale' della vita, e del suo aspetto relazionale-affettivo in particolare, ormai quasi soltanto ridotto al virtuale, può generare profonde esperienze di solitudine e di "povertà" affettiva, talvolta non riconosciute come tali.
Le competenze di interazione che gli strumenti tecnologici offrono, se non ben integrate con altre competenze che hanno a che fare con la gestione delle dinamiche emotivo/affettive all'interno della relazione, possono risultare inefficaci nel momento dell'incontro, dello scambio vis a vis. Questa disequilibrio nello sviluppo dei due ambiti di competenze, può comportare il rischio di un impoverimento del carattere direttamente 'esperienziale' della vita, e del suo aspetto relazionale-affettivo in particolare, riducendolo quasi solo alla dimensione del quasi soltanto alla dimensione del virtuale.
Dentro e fuori le mura domestiche
Un elemento sul quale concordano tutte le voci, dal Nord al Sud, è la carenza nella funzione genitoriale. In uno dei FG è stata avanzata la porposta di definire 'orfanato' il disagio legato a quelle situazioni, infantili prima che adolescenziali, in cui i ragazzi vivono una carenza genitoriale, e che si esprime attraverso: "l'essere un po' in giro, spersi, in assenza di punti di riferimento. Sono ragazzi che frequentano maggiormente i contesti di aggregazione formali ed informali alla ricerca di punti di riferimento" (FG Bergamo). L'indebolimento della funzione educativa esercitata dalla famiglia è riferita alla maggiore incertezza rispetto al ruolo genitoriale: "Dove sono gli adulti? I genitori sono spesso anch'essi 'tardo-adolescenti' più che veri adulti, perciò riescono ad assolvere bene il loro compito durante l'infanzia dei figli, ma trovano difficoltà quando questi ultimi entrano nell'adolescenza, proprio perché non riescono a 'rendere asimmetrico' il rapporto con i figli" (FG Torino). La casa, il 'focolare domestico', è sentito come luogo separato, estraneo alla propria esistenza: "Qui tutti hanno case grandi, ma i ragazzi non portano i loro amici a casa. Lo spazio domestico non è sentito come luogo di socializzazione, ma come difesa dall'esterno. L'adolescente porta fuori di casa il disagio, e lo lascia fuori quando rientra a casa, dove ritorna tutto come prima" (FG Pordenone).
Gli adolescenti e le regole
Da più parti viene segnalato un mutamento culturale che investe le nuove generazioni, che riguarda il loro rapporto con le regole. Questo atteggiamento nei confronti delle regole, trarrebbe origine dai mutamenti intervenuti nel modo in cui gli adulti significativi interpretano il loro ruolo e la loro funzione educativa. Nella società odierna, assistiamo allo spostamento del baricentro dell'azione delle principali agenzie educative e di socializzazione dall'asse normativo a quello affettivo. Tale cambiamento può essere rappresentato, secondo Pietropolli Charmet, come il passaggio dalla "famiglia normativa" alla "famiglia affettiva" (Nota 1). Quello del rapporto tra gli adolescenti e le regole, ci sembra un campo di indagine che merita di essere approfondito, per la centralità che riveste nell'esercizio della funzione educativa ai diversi livelli istituzionali: la famiglia, la scuola, il sistema educativo territoriale. In una ricerca attualmente in corso sui comportamenti a rischio degli adolescenti, abbiamo condotto dei FG incentrati sulle rappresentazioni degli adolescenti circa le regole, la trasgressione delle stesse, le sanzioni. I risultati dei FG concordano con quelli emersi dalla ricerca Delitto e castigo. Le rappresentazioni della devianza e delle sanzioni nei processi di socializzazione normativa degli adolescenti, coordinata dalla prof.ssa Favretto dell'Università del Piemonte Orientale e condotta tra l'autunno del 2003 e l'autunno del 2005. In questa ricerca, si è voluto anche osservare le possibili contiguità o fratture tra le rappresentazioni espresse dai ragazzi e gli elementi normativi che essi percepiscono essere presenti nel mondo degli adulti. I punti di concordanza tra le due ricerche citate possono essere così riassunti:
1. i ragazzi riconoscono ed accettano la funzione socializzante delle regole e del sistema sanzionatorio;
2. Utilizzano riferimenti normativi e valoriali frequentemente contigui al mondo degli adulti;
3. Addebitano agli adulti una incertezza nello svolgimento della loro funzione normativa, e li giudicano non sempre in grado di dimostrarsi coerenti nel loro agire e moralmente orientati.
La fase attuale sembra caratterizzata da una destrutturazione dei modelli di "adultità" tradizionalmente proposti dalla famiglia e dalle altre agenzie di socializzazione. Tuttavia, riteniamo vi sia un fraintendimento di fondo nell'interpretare ciò nei termini del passaggio da un paradigma educativo ad un altro, ossia, il ritenere possibile la scissione tra i due aspetti del processo educativo, quello 'normativo' da quello 'affettivo'. L'aspetto normativo è, comunque, sempre presente in un processo educativo: può essere non esplicitato, non legittimato, o anche dichiarato assente. Ma proprio in questa "negazione della normatività" è insito il rischio di esercitare un minor controllo sui messaggi normativi, comunque trasmessi attraverso il processo educativo: messaggi il cui potere strutturante sta proprio nel fatto di essere non consapevoli, ossia di sfuggire al controllo dell'intenzionalità, e che possono contraddire anche in maniera clamorosa quanto consapevolmente perseguito.
Le trasformazioni nella funzione sociale della scuola
Nella stessa direzione dei cambiamenti registrati nei modelli famigliari, vanno quelli che attraversano l'istituzione scuola, che cerca di proporsi a sua volta come uno degli snodi significativi della rete affettiva. Contemporaneamente alla perdita di centralità rispetto alla tradizionale funzione formativa, assistiamo al peso crescente che la scuola va assumendo quale contesto di socializzazione. Questo processo è strettamente connesso alle profonde trasformazioni che interessano l'istituto familiare. Basti pensare all'attuale famiglia nucleare, composta sempre più spesso da un padre ed una madre che lavorano entrambi, e da figli minori il cui tempo di permanenza a scuola si protrae sempre di più durante le ore pomeridiane. Per questi minori, che crescono in famiglie sempre più prive di bambini e di adulti di riferimento per orientarsi nell'ambiente circostante, la scuola viene ad assumere un ruolo affatto nuovo: non è più il primo contesto di socializzazione extra-familiare, ma è il primo contesto di socializzazione in assoluto. L'obiettivo diviene allora quello di rendere questo luogo quanto più possibile accogliente. In tale processo, la scuola si trasforma: da agenzia formativa diviene agenzia per la promozione del benessere. Pur con tutte le resistenza legate ad un processo di transizione che incide fortemente sul proprio ruolo ed identità professionale, gli insegnanti sembrano accettare questa ridefinizione della funzione sociale della scuola. E chiedono strumenti adatti a riqualificare in tale direzione la propria professionalità. In una indagine conoscitiva, condotta presso gli operatori scolastici nel corso del progetto "Aiutiamo Palinuro", è risultato che la maggioranza degli intervistati identificava le competenze socio-affettive come strumento prezioso che potesse offrire all'insegnante nuovi elementi per una migliore collocazione entro la sua nuova identità professionale.
A fronte degli sforzi degli operatori per creare un clima attento al benessere e alla dimensione dello scambio relazionale affettivamente saturo, si riscontra una ampia fascia di adolescenti che hanno ritirato il loro investimento emotivo dall'esperienza scolastica, che attraversano in un crescendo di apatia e demotivazione, che li porta infine a dare le dimissioni dal ruolo di studente, per usare una felice espressione di Matteo Lancini, del gruppo milanese de "Il Minotauro". Molti autori sottolineano come l'abbandono scolastico non necessariamente debba accompagnarsi all'atto di lasciare fisicamente la scuola. Solomon parla di "in-school drop-out" per definire la tipologia di ragazzo (non sappiamo se definirlo ancora studenteÉ) che rimane fisicamente a scuola, seppur disimpegnato e disinteressato rispetto al conseguimento di titoli scolastici. Eugenia Pelanda propone di intendere con l'espressione "abbandono scolastico" non solo l'agito che porta a lasciare la scuola ma anche, più in generale, tutti quegli atteggiamenti che segnalano un disinvestimento emotivo della scuola e dell'apprendimento. Tutti questi segnali ci possono rimandare ad una sorta di gap appunto di tipo culturale e rappresentativo-comunicativo tra mondo della scuola e giovani, attualmente oggetto di studio da parte di molti autori sotto differenti prospettive di osservazione.
Gli operatori, i servizi e gli adolescenti
Le rappresentazioni che gli operatori, in quanto adulti, hanno dell'adolescenza, costituiscono necessariamente il retroterra su cui si basa l'operatività dei servizi, e determina la qualità delle relazioni che essi riescono, o non riescono, a stabilire con gli adolescenti. I servizi per gli adolescenti rappresentano un osservatorio privilegiato per comprendere gli atteggiamenti e le strategie comunicative degli adulti nei confronti degli adolescenti; essi rappresentano un territorio dal quale è possibile ricavare informazioni che non riguardano solo le modalità operative, ma che hanno un valore esplicativo più generale in quanto rimandano agli atteggiamenti culturali nei confronti dell'adolescenza.
Piergiorgio Reggio avanza una proposta classificatoria dei servizi rivolti agli adolescenti, che parte dalla individuazione di alcune parole-chiave, che sono rinvenibili nelle pratiche di lavoro con gli adolescenti e che determinano le modalità di rapporto instaurate con l'utenza e strutturano le pratiche operative dei servizi:
Disagio L'enfasi posta sul disagio e sul rischio quali aspetti intrinsecamente connessi all'adolescenza, deriva da una lettura dei rapporti intergenerazionali fondata sulla sostanziale inadeguatezza dei soggetti in via di sviluppo. L'adolescente, quale potenziale portatore di difficoltà, viene assunto quale destinatario di interventi atti a contrastare l'espressione di tale disagio
Rischio - la categoria del 'rischio' viene elaborata a partire dalla medesima logica sottostante a quella del "disagio": il soggetto e non la situazione è ritenuta 'a rischio'. Questa lettura dell'adolescente comporta il pericolo di una patologizzazione della condizione adolescenziale in quanto tale.
Ascolto Il paradigma dell'ascolto trova, oggi, una notevole diffusione nelle pratiche dei servizi socio-educativi con gli adolescenti. L'affermarsi di questo paradigma è connesso con il riconoscimento sociale dell'adolescente quale soggetto portatore di bisogni ed identità specifiche, un riconoscimento che sollecita gli operatori ad una attenzione verso la soggettività dei giovani e le loro modalità di vita.
Accanto a questi elementi, Reggio sottolinea anche i punti di criticità che caratterizzano anche questo paradigma:
- L'operatore tende ad assumere un ruolo di osservatore, impegnato in una sorta di operazione diagnostica. Questo porta, ancora una volta, ad una connotazione dell'utente adolescente quale soggetto portatore di carenze e problemi, che devono essere individuati e a cui bisogna rispondere.
- Un ulteriore rischio è rappresentato dalla possibilità che l'operatore, per così dire, si chiami fuori dal campo di osservazione: l'attenzione prestata all'adolescente tende a mettere in ombra la dimensione dell'ascolto di sé da parte dell'operatore
"Riusciamo a creare luoghi che producano pensieri?"
Una frase ci sembra riesca a sintetizzare il compito e la 'missione' che le istituzioni dovrebbero svolgere nei confronti dell'adolescenza, in un modo poeticamente sintetico: "Ha senso offrire sempre più servizi? O non riproponiamo uno stile di vita 'economico', 'consumistico', coprendo un'offerta sempre più ampia, come fossimo un supermercato? Riusciamo a creare dei luoghi che producano pensieri?" (Pordenone).
Questo passaggio pare far riferimento ad un rischio che corrono gli interventi socio-educativi per l'adolescenza: quello dello scivolamento da un modello psico-pedagogico (il servizio/progetto come 'luogo produttore di pensieri') ad un modello economico (il servizio/progetto come centro commerciale) (Nota 2). Per produrre "luoghi che producano pensieri" da destinare agli adolescenti, c'è bisogno di un "luogo che produca pensieri sugli adolescenti" da destinare agli operatori. A tale proposito, un contributo può essere apportato dalla supervisione quale spazio/tempo il cui scopo è l'attivazione di pensabilità, creazione di un terreno di riflessione comune e di idee condivise tra i vari membri, spazio di incontro di posizioni differenti, in un clima aperto alla discussione degli assetti ideologici individuali e istituzionali. (cfr. A. Correale, Il campo istituzionale, Roma 1999, pag. 237). In questo modo, la supervisione aiuta a combattere il senso di solitudine ed isolamento che sperimenta l'operatore sociale, quando si trova a gestire un rapporto così saturo emotivamente come spesso è quello con l'adolescente; inoltre, rafforza l'identità professionale dell'operatore e la sua capacità di lavorare in rete. In ultimo, sollecita quella dimensione dell'ascolto di sé da parte dell'operatore prima ricordata, attraverso l'attenzione prestata alle dinamiche attive nel campo operatore/adolescente.
Gli adolescenti come indicatori di disagio sociale
Ci piace concludere questo intervento con una sorta di capovolgimento concettuale rispetto ad uno degli obiettivi della ricerca sul disagio adolescenziale prima presentato: dalla rilevazione degli indicatori di disagio in adolescenza agli adolescenti quali indicatori di disagio sociale. L'adolescenza si presenta come fascia d'età, soggetto sociale, che manifesta con un qualche anticipo quelli che saranno i fenomeni di disagio sociale più generalizzati nel futuro prossimo. é quindi 'canale d'entrata', segnale predittivo prioritario che va ascoltato e interpretato nell'oggi. Se così è, e se le trasformazioni che riguardano gli adolescenti hanno molto a che fare con l'attuale fase di transizione che gli adulti stanno attraversando da vecchi a nuovi modelli educativi, dal profilo ancora incerto, allora si pone in primo luogo il problema di accompagnare questi adulti, aiutandoli ad accedere ad una maggior consapevolezza circa il ruolo che essi giocano nel rapporto con gli adolescenti.
Nota 1 Il ruolo primario attribuito alla famiglia tradizionale nel processo di socializzazione dei figli, era legato alla trasmissione intergenerazionale di valori e principi etici propri della cultura di appartenenza. Per assolvere efficacemente tale ruolo, era necessario che i genitori venissero riconosciuti quali figure autorevoli, all'interno di una relazione asimmetrica con i figli tesa a preservare solidi confini tra i rispettivi ruoli. Ciò determinava una coloritura decisamente conflittuale della relazione tra genitori e figli; le dinamiche intrafamigliari rappresentavano il terreno privilegiato di espressione della conflittualità intergenerazionale. Da alcuni decenni, il principale obiettivo sembra essere quello di tenere basso il livello del conflitto interno, con la costruzione di regole funzionali solo ad una serena convivenza, molto pratiche e molto vaghe, cessando quasi completamente di trasmettere i valori della storia e del sacro, senza definire il giusto e l'ingiusto, ma solo l'opportuno o l'inopportuno. Il parametro dominante diviene la gratificazione emotiva dell'individuo. Famiglie che sempre più frequentemente sono viste e definite come 'unità degli affetti', piuttosto che agenzie impegnate e specializzate nell'assolvimento di compiti e funzioni a forte rilevanza sociale. Tuttavia, non riteniamo che la c.d. "famiglia affettiva" sia una famiglia a-normata: piuttosto, le dinamiche che la caratterizzano possono essere viste come espressione dell'affermarsi di norme 'altre', rispetto a quelle vigenti in passato, che regolano ed indirizzano le transazioni tra i suoi membri. Pensiamo all'impatto dell'introduzione del divorzio: l'unità del nucleo familiare può venire meno qualora vi sia un deterioramento delle relazioni: il patto che tiene insieme la famiglia, regge fin quando prevale un clima di reciproca tolleranza tra i suoi membri; si rimane insieme fin che si sta bene o, quanto meno, ci si rispetta sufficientementeÉ.Altre norme, che recepiscono il mutato clima culturale nei confronti della tutela dei minori, concorrono a ridefinire la qualità delle relazioni intergenerazionali. Nel corso del Novecento, grazie agli studi pedagogici e psicologici, si è sviluppata una concezione dell'infanzia che considera gli adulti non più proprietari dei figli, bensì responsabili dell'integrità fisica e psicologica dei minori. Su questa base, si è fatta strada, nella società, la consapevolezza circa il rispetto dovuto al minore in quanto soggetto di diritti, e l'esigenza di tutelare sul piano normativo tale soggettività.
Nota 2 Certamente una delle componenti del successo di questo secondo modello risiede nella crescente attenzione alla 'misurabilità' della efficacia/efficienza degli interventi, che spesso porta ad effettuare una riduzione semplicistica quanto pericolosa, nel campo delle politiche sociali - del rapporto costi/benefici al rapporto risorse utilizzate/utenti raggiunti
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