Il Ruolo Terapeutico, 1987, 45: 39-42
Paolo Migone
Questa volta intendo utilizzare lo spazio della rubrica per parlare di Robert Langs, un analista americano che conosco da anni. L'occasione è costituita dal fatto che ai primi di maggio 1988 Langs terrà alcuni seminari in Italia, uno dei quali a Milano presso Il Ruolo Terapeutico, per cui il lettore eventualmente potrà partecipare al seminario dopo aver letto queste note o la bibliografia che qui verrà segnalata. Oltre ad accennare a quelli che a me sembrano essere i punti centrali del suo pensiero, voglio raccontare alcune cose che ho fatto con Langs negli ultimi anni, e ricordare, quasi in modo affettivo, alcuni aspetti del mio rapporto con lui. Ho conosciuto Langs vari anni fa a New York durante un suo seminario. Fui molto colpito dalla sua intuizione clinica, dalla sua sensibilità nell'ascoltare le comunicazioni del paziente e a comprenderne le dinamiche inconsce. Le sue idee ebbero un forte impatto emotivo su di me, e arricchii molto la mia tecnica terapeutica. Seguì un periodo in cui approfondii la lettura dei suoi scritti (Langs è un autore molto prolifico, a tutt'oggi ha prodotto più di 20 libri) per comprendere meglio il suo pensiero. Sarebbe troppo lungo qui esporre i principali aspetti della sua teoria della tecnica, per cui mi limiterò ad alcuni commenti sintetici. La tecnica di Langs, chiamata "approccio comunicativo", è abbastanza cambiata rispetto a quella esposta nel libro da tempo conosciuto in Italia (quello del 1973-74 sulla tecnica, tradotto da Boringhieri nel 1979). Quel libro sostanzialmente era espressione del punto di vista della tecnica classica, mentre in seguito Langs ha approfondito lo studio della "comunicazione inconscia" di tipo interazionale tra paziente e analista, e in particolare l'importante ruolo che giocano gli interventi del terapeuta nel determinare le risposte del paziente. Per brevità rimando chi volesse approfondire la tecnica di Langs a leggere alcuni articoli che sono già disponibili in italiano, e precisamente quello di Giovanni Trombi (La teoria della tecnica di Robert Langs: l'approccio "comunicativo". Psicoterapia e Scienze Umane, 1987, 3: 55-93), Felicetta Iervolino (I recenti contributi di Robert Langs alla tecnica psicoterapeutica. Rivista di Psicologia Clinica, 1988, 1), oppure a quello dello stesso Langs sul numero speciale di Psicoterapia e Scienze Umane, 1986, 3. Qui per comodità riprenderò alcuni passaggi della prefazione che ho scritto per l'edizione italiana di uno degli ultimi libri di Langs (Follia e cura, Bollati Boringhieri, 1988; vedi anche la recensione su Psicoterapia e Scienze Umane, 1987, 3). Un punto centrale della tecnica di Langs è il "metodo di decodificazione" dei derivati del paziente, metodo basato sulla analisi sistematica delle difese, soprattutto quelle dello spostamento e della simbolizzazione: ciò permette di vedere le cose che dice il paziente come un "commentario inconscio" di quello che fa il terapeuta, o addirittura di considerare il paziente un "supervisore inconsapevole" del terapeuta stesso. Già Harold Searles, un autore amico di Langs e da lui molto considerato, nell'articolo del 1975 "Il paziente come terapeuta del proprio analista" aveva descritto le capacità inconsce del paziente di individuare i difetti del terapeuta e di offrire indicazioni per come correggerli (inoltre Hoffman parla del paziente come "interprete" dell'esperienza dell'analista [Il paziente come interprete dell'esperienza dell'analista (1983), Psicoterapia e Scienze Umane, 1995, XXIX, 1: 5-39], Weiss & Sampson, del San Francisco Psychotherapy Research Group, parlano del paziente come "coach" dell'analista, e così via). Un altro aspetto importante della tecnica di Langs, connesso al precedente, è il considerare gli interventi del terapeuta, intesi in senso lato fino a comprendere l'intero setting e le regole di base, come il principale stimolo o "contesto adattivo" per le associazioni del paziente e in certi casi addirittura per la sua patologia. In questo modo egli sposta il fulcro del processo analitico dal paziente all'analista, e conseguentemente dal passato al presente, diminuendo l'importanza del punto di vista genetico in favore di una maggiore attenzione all'hic et nunc della seduta. Con questo approccio decisamente interazionale alla tecnica psicoterapeutica, da lui definito "approccio comunicativo", Langs si vuole differenziare dall'impostazione classica riformulando i concetti stessi di transfert e controtransfert, di neutralità analitica, ecc. Questo cambiamento delle posizioni di Langs del resto è avvenuto parallelamente a quello di altri importanti autori nordamericani: tra tutti si vedano le recenti posizioni di Merton Gill del 1982 sull'analisi del transfert (Teoria e tecnica dell'analisi del transfert, Astrolabio, 1985), le quali presentano a livello clinico vari punti di contatto con quelle di Langs (per le posizioni di Gill, vedi il mio articolo sul n. 59/1992 del Ruolo Terapeutico, e il suo importante articolo del 1984 su Internet "Psicoanalisi e psicoterapia: una revisione", e un dibattito si di esso; vedi anche il cap. 4 del mio libro Terapia psicoanalitica, Milano: Franco Angeli, 1995). Vedendo le cose da una prospettiva più ampia, si può dire che il contributo che Langs ha dato alla storia della teoria della tecnica ricorda quello iniziato nella letteratura ufficiale a partire dagli anni '50 (dall'articolo del 1950 di Paula Heimann sul controtransfert, per intenderci) riguardo al recupero in positivo del valore del controtransfert come strumento di conoscenza dell'inconscio del paziente: ebbene, quello che Langs ha fatto è stato di riproporre la stessa problematica, riferendola però questa volta al "controtransfert del paziente" come strumento di conoscenza del "transfert del terapeuta". Questa provocatoria formulazione capovolge i ruoli tradizionali del rapporto transfert/controtransfert, ma rende bene l'idea delle implicazioni connesse a un coerente approccio interazionale al processo analitico, laddove l'inconscio del paziente, al pari di quello del terapeuta, ha gli stessi diritti di dire la sua sul proprio partner analitico. Langs comunque non si è limitato a sollevare questa problematica, e l'operazione che ha tentato di fare è stata più ambiziosa: egli ha cercato di costruire una precisa teoria della tecnica che da una parte si discostasse da quella ortodossa, e dall'altra non scivolasse nell'approccio decisamente "relativistico" dell'ultimo Gill. Non intendo in questa sede approfondire ulteriormente gli aspetti teorici delle posizioni di Langs, anche perché sarebbe troppo lungo. Mi limito a dire che nel dibattito in corso tra Langs e Gill mi sono trovato abbastanza d'accordo con le critiche che muove Gill alle implicazioni teoriche di alcune delle posizioni di Langs, che in un certo senso hanno confermato certe impressioni che avevo da tempo, condivise anche da alcuni partecipanti a un gruppo di studio su Langs che ho condotto nel 1985-86 (per un approfondimento delle critiche di Gill, si vedano questi riferimenti: J. Raney, ed., Listening and Interpreting: The Challenge of the Work of Robert Langs, New York, Aronson, 1984, pp. 395-414; R. Langs, ed., The Yearbook of Psychoanalysis and Psychotherapy, Emerson, NJ, Newconcept Press, 1985, 1, pp. 177-187; inoltre la risposta di Gill a Langs sulla rivista Psychoanalytic Inquiry, 1984, 3). Pur essendo presenti queste riserve a livello teorico, delle quali peraltro ho discusso a lungo con Langs, continuo ad avere un forte interesse e una stima per il suo lavoro. Ritengo che Langs, con le inquietanti domande che solleva sulla responsabilità del terapeuta nella situazione analitica, è un punto di riferimento preciso, rappresenta una importante testimonianza sulla correttezza e coerenza autenticamente psicoanalitiche, se così si può dire, all'interno del vasto e talvolta confuso panorama del movimento psicoanalitico contemporaneo. E con questo accenno vorrei parlare di Bob Langs come mi ero riproposto all'inizio, cioè con un tono più affettivo, anche attraverso alcuni ricordi. Non dimenticherò mai ad esempio il forte interesse che in me suscitavano certi dibattiti pubblici, di fronte a un vasto pubblico di terapeuti, nei quali Langs chiamava a confrontarsi, quasi sempre su materiale clinico, importanti analisti quali Harold Searles, Leo Stone, Merton Gill e altri. Né dimenticherò l'instancabile energia, l'entusiasmo (oserei dire la "fede") che Langs ha sempre mostrato nel perseguire le sue idee e la sua linea di ricerca, anche a costo di andare controcorrente e diventare inviso ai circoli psicoanalitici ortodossi ai quali apparteneva. Della sua instancabile voglia di lavorare sono prova i circa 20 libri scritti in poco più che un decennio; tra l'altro in uno di questi libri, che gli servì come punto di partenza per lo studio dell'approccio comunicativo, fece l'ammirevole lavoro di riassumere in modo dettagliato più di 500 tra i principali contributi psicoanalitici sull'interazione terapeutica, da Freud fino al 1976 (The Therapeutic Interaction, 2 volumi, New York: Aronson, 1977). Di lui mi piacciono anche la simpatia e la correttezza nei rapporti interpersonali, doti che si impara a conoscere frequentandolo nel tempo. Inoltre la personalità quasi carismatica di Langs e il suo fascino di oratore sono tali che non è un caso che esiste in America un movimento che potremmo chiamare di "psicoanalisi langsiana", con gruppi di analisti in ogni principale città, che lavora con entusiasmo ad approfondire lo studio dell'approccio comunicativo. Al tempo in cui conobbi Langs io stavo lavorando attorno alla possibilità di far uscire in inglese un libro italiano che mi piaceva molto, quello di Enzo Codignola sull'interpretazione (Il vero e il falso, Boringhieri, 1977), per cui ne parlai con lui così come con altri analisti che conoscevo. Langs fu l'unico che subito si mostrò molto interessato alle idee del Codignola, e che mi aiutò anche per la sua pubblicazione in inglese (i capitoli centrali di questo libro - il primo, il quarto e il quinto - sono infatti usciti nel n. 2 dello Yearbook of Psychoanalysis and Psychotherapy, un volume curato da Langs); non solo, ma recentemente egli ha voluto scrivere un articolo sulle idee del Codignola ("Il vero e il falso in psicoanalisi alla luce della storia della scienza"), che uscirà anche in italiano sul n. 1, 1988, di Psicoterapia e Scienze Umane, rivista della quale Enzo Codignola, ora scomparso, fu condirettore. Nel 1984, poco dopo il mio rientro in Italia, in occasione di una visita di Langs, decidemmo di organizzare un giro di seminari a Firenze, Bologna e Milano, dove lo accompagnai per tradurlo; fu una bella occasione sia per approfondire l'amicizia che per assistere a molte stimolanti discussioni su materiale clinico. Due anni dopo, nel 1986, ripetemmo l'esperienza, questa volta a Milano, Torino, Genova, Firenze e Roma, e ancora ricordo questo viaggio con grande piacere. Il caso inoltre volle che l'anno scorso ritrovassi un compagno d'infanzia che non vedevo da molti anni, e che scoprii essere diventato anche lui uno psicoterapeuta, il quale percorrendo un suo proprio itinerario era arrivato a conoscere i libri di Langs e ad appassionarsi alle sue idee. Questo collega era talmente interessato al lavoro di Langs che voleva lavorare attivamente per una maggiore diffusione della conoscenza dei libri e della teoria della tecnica di Langs in Italia. Egli si mise quindi in contatto con Bob ed entrò nella Society for Psychoanalytic Psychotherapy, una organizzazione fondata da Langs alcuni anni fa e che si propone di approfondire lo studio dell'approccio comunicativo. Ora questo collega sta cercando di coordinare tutti coloro che in Italia si interessano alle idee di Langs, eventualmente formando gruppi di studio, ecc. (per chi volesse mettersi in contatto con lui, questo è il suo indirizzo: dr. Giovanni Trombi, Via Ferrara 5, 40139 Bologna, tel. 051-467926). Trombi ha anche lavorato attivamente per organizzare il prossimo giro di seminari del maggio '88. Inoltre, con un lavoro instancabile, in meno di un anno ha tradotto due nuovi libri di Langs (Follia e cura, del 1985, che esce nel 1988 presso Bollati Boringhieri con una mia prefazione, e Interazioni: l'universo del transfert e del controtransfert, del 1980, che esce presso Armando nel 1988), ne sta supervisionando la traduzione di altri due (La comunicazione inconscia nella vita quotidiana, del 1983, che esce presso Astrolabio nel 1988, e Guida alla psicoterapia: un'introduzione all'approccio comunicativo, che uscirà presso Bollati Boringhieri nel 1990), e ha scritto un bell'articolo che presenta il pensiero di Langs (Psicoterapia e Scienze Umane, 1987, 3). Io sono rimasto veramente colpito da questo enorme lavoro e dal suo entusiasmo, tale da motivarlo a ricercare uno stretto rapporto di collaborazione e scambio con Langs. Vorrei concludere questo scritto con alcuni brani tratti dalla tesi di laurea in psicologia su Langs di Felicetta Iervolino, che ho aiutato a scrivere (parte di questa tesi, che non include i brani che vengono presentati qui, è pubblicata sulla Rivista di Psicologia Clinica, 1988, 2, 1: 48-65). Qui viene descritta la tipologia dei "terapeuti bugiardi" e dei "pazienti bugiardi", fatta da Langs per la prima volta in un articolo del 1980 intitolato "La terapia della verità e la terapia delle bugie" (Truth Therapy/Lie Therapy). I termini "verità", "bugia", ecc., vengono usati appositamente da Langs a scopo provocatorio, e hanno un potente effetto evocativo. Questa descrizione viene fatta all'interno della descrizione dei "campi comunicativi", e precisamente del campo che Langs chiama di "tipo C", descritto anche da altri autori come Bion ecc., il quale è caratterizzato da barriere, vuoti, distruzione del significato, "attacco al legame", ecc. Ma vediamo la fenomenologia di questi terapeuti e pazienti "bugiardi". Tipologia dei "terapeuti bugiardi" "Il ricostruttore genetico" (the genetic reconstructionist). Questo analista è interessato soprattutto alle basi genetiche dei disturbi del paziente, e non ha considerazione alcuna per l'interazione terapeutica immediata. L'assunzione implicita è che il paziente esprime se stesso soprattutto attraverso il transfert, cioè attraverso distorsioni della relazione attuale ad opera di quelle passate. Così, partendo da tale premessa, tende ad utilizzare per i suoi interventi quella parte del materiale del paziente che consente interpretazioni di transfert, ma che non è connessa a un intervento del terapeuta e che quindi non dice nulla dell'interazione terapeutica corrente e dei contributi che entrambi i partecipanti vi apportano. La conferma degli interventi viene poi limitata alle risposte coscienti del paziente, e non si fa nessuno sforzo per ottenere quella che per Langs è la vera validazione, cioè la validazione indiretta. La conseguenza logica di tutto ciò è che il materiale del paziente viene considerato solo in quanto difensivo e resistente, distorto e patologico; tanto gli aspetti sani del suo comportamento, che quelli che riguardano la patologia del terapeuta sono completamente evitati. In questo modo vengono tagliati fuori vasti settori di verità all'interno del campo, e l'accento sul transfert del paziente si rivela come una potente difesa inconscia contro il riconoscimento di tale verità. "L'interprete delle relazioni esterne" (the interpreter of outside relationships). Questo tipo di terapeuta è interessato soprattutto alle relazioni esterne del paziente, ed è in rapporto ad esse che sviluppa le sue interpretazioni dinamiche e derivazioni genetiche. Anch'egli non tiene in nessun conto ciò che accade dentro l'interazione terapeutica, creando così un sistema bugiardo, spesso condiviso dal paziente, contro le verità inconscie dentro di essa. "L'utilizzatore di clichés psicoanalitici" (the user of psychoanalytic clichés). Anche questi è un bugiardo e nel suo funzionamento non è molto diverso dai terapeuti precedentemente descritti. Ciò che più lo contraddistingue è il largo uso di clichés psicoanalitici, i quali possono essere molto intellettualizzati ed astratti: allusioni alla dipendenza, alla ostilità, ai bisogni simbolici, al complesso di edipo, ai disturbi preedipici, al narcisismo, ecc. Ciò che trasforma questi clichés da pubbliche verità in bugie funzionali è l'essere applicati senza tener conto della specificità di qualsiasi individuo nè dell'interazione terapeutica. "Il modificatore del setting" (the frame changer). I terapeuti che rientrano in questo tipo hanno un atteggiamento molto rilassato nei riguardi delle regole di base della psicoterapia e della psicoanalisi. Ritengono la psicoanalisi diversa dalla psicoterapia e, per quanto riguarda quest'ultima, considerano leciti l'uso di interventi non interpretativi e la modifica di qualche regola di base. Questi terapeuti in genere tendono ad invocare, come giustificazione per le deviazioni e per la maggiore "attività", un bisogno del paziente di maggiore flessibilità ed umanità da parte dell'analista. Secondo Langs però le deviazioni tecniche, anche quelle giustificate da una situazione di emergenza, riflettono il controtransfert del terapeuta, le sue identificazioni proiettive e il suo bisogno di bugie e di barriere di tipo C; tutto ciò si traduce in un invito inconscio al paziente a colludere con il terapeuta per tener lontana la verità della nevrosi di entrambi. Tipologia dei "pazienti bugiardi" "Lo scaricatore di bugie" (the lie dumper). Essenzialmente, questo paziente è terrorizzato da un ambiente terapeutico sicuro, vissuto come pericoloso e persecutorio. Il timore fondamentale è quello di venire distrutto, annientato, per cui avrà reazioni claustrofobiche e cercherà di modificare le condizioni di trattamento in ogni modo possibile. Fondamentalmente utilizzerà meccanismi di scarica in azione (action-discharge) e di identificazione proiettiva. "Il narratore di bugie" (the lie narrator). Questo paziente ha molta immaginazione. A volte si impegna in lunghi racconti piacevoli e ricchi di immagini, sembrando sofisticato e sincero. Tuttavia, questo materiale non è mai significativamente organizzato intorno ad un contesto adattivo, e ciò tradisce la sua funzione di barriera contro la verità. "Il bugiardo deliberato" (the overt liar). Questo paziente, diagnosticato in genere come psicopatico o schizofrenico, è bugiardo in modo evidente e scoperto. Tuttavia presenta alcune delle caratteristiche tipiche degli individui inclini alla menzogna inconscia, ossia una certa incapacità a tollerare realtà frustranti, un bisogno di evaderle attraverso la falsificazione diretta piuttosto che confrontarsi con esse, ed un forte senso di distruttività interna e di seduttività. Con questo tipo di paziente il terapeuta deve assolutamente astenersi dall'intervenire, fino a quando non sia stato modificato il suo stile comunicativo manifestamente bugiardo. Infatti gli interventi costruiti sui contenuti di una falsificazione sono assurdi; essi sminuiscono e ridicolizzano il terapeuta, e ciò dimostra come sia parassitaria la relazione del bugiardo con la propria audience. Bion (1970, p. 141) affermò che "la bugia è il legame tra ospite e parassita nella relazione parassitaria". Il terapeuta deve essere completamente sicuro di non aver contribuito alla tendenza del bugiardo, e deve consentirne il cambiamento offrendo un setting sicuro e basato su un approccio interpretativo che ricerca la verità (truth-seeking). The mindless patient. Questo tipo di paziente viene di solito classificato come schizofrenico, poiché presenta quelli che sono ritenuti essere i sintomi più specifici della schizofrenia, in particolare la dissociazione del pensiero e del linguaggio. Langs tuttavia sottolinea il carattere difensivo di questi sintomi contro la verità di una realtà dolorosa e persecutoria. Afferma inoltre che alcuni pazienti di questo tipo sembrano essere in parte dei truth-seekers, poiché a volte comunicano intorno al contesto adattivo e riportano derivati; per quanto queste comunicazioni siano in realtà piuttosto frammentarie, nondimeno esse rivelano dei significati inconsci che possono essere loro interpretati. "Il paziente che somatizza" (the somatizer). Anche la somatizzazione di fantasie inconsce, di ricordi e di introietti può essere una forma di comunicazione bugiarda.
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