In questo commento all'articolo
di Eisold, Arnold Cooper (che fu presidente dell'American
Psychoanalytic Association) si dice in gran parte d'accordo con
l'analisi fatta dall'autore, ma dissente in vari punti. Ad esempio, è meno
pessimista riguardo alla mancanza di autorevolezza professionale degli
psicoanalisti e alla supposta persistente ambiguità sul tipo di servizio che
loro forniscono al pubblico. Di fatto, dice Cooper, tutti noi sappiamo bene che
se una professione non gode delle simpatie del pubblico, questo può non
significare affatto che l'autorevolezza di quella professione sia minacciata,
basti pensare agli avvocati che sono invisi a tutti e anche oggetto di
barzellette sarcastiche, e ciò non toglie che in caso di bisogno tutti subito
corrano da loro, esattamente come dagli psicoanalisti (inoltre bisogna stare
attenti a non confondere il successo sociale con la "scientificità" di un
intervento). Inoltre, a proposito di frammentazione teorica, neppure altre
professioni navigano in buone acque, si pensi alla medicina o alla chirurgia
dove vi sono aree di dissenso sulla terapia di determinate malattie, e vi è un
acceso dibattito che non viene nascosto al pubblico, anzi, può essere
addirittura un vanto il fatto che si cerca sempre di raggiungere una cura
ottimale e che si vagliano diverse possibilità. E non è neppure vero, dice
ancora Cooper, che vi sia una persistente ambiguità sul tipo di servizio
fornito dagli psicoanalisti, poiché, nonostante vi siano frammentazioni
teoriche, vi è una base comune che unisce tutti gli psicoanalisti: ad esempio
l'effetto dello svelamento di significati rimossi, della risoluzione dei
conflitti interni, e così via, cioè l'intento di utilizzare quel "corpo di
conoscenze della psicoanalisi" (che costituisce appunto uno dei tre poli della
definizione freudiana) per "alleviare la sofferenza" dei pazienti (che è un
altro dei tre poli definitori della psicoanalisi, quello terapeutico, e non per
fare ricerca e basta, che è l'altro dei tre poli). E con questo Cooper
chiarisce che la identità professionale è una questione a se stante, con le
sue regole, cioè non è da confondersi con le altre questioni. Inoltre dice
che, se è vero ö come ricorda Eisold ö che Freud disse che la psicoanalisi
è una "professione impossibile" e la equiparò ad altri due mestieri
"impossibili" (l'educazione dei figli e il dirigere una nazione), su
questo Freud fu ambiguo o misterioso, perché a ben vedere l'allevare i figli
e il dirigere una nazione non sono affatto professioni! Quindi sembra che Freud
volesse dire che neppure la psicoanalisi è una professione, ma un mestiere più
simile a una attività umana, e questo è un modo forse con cui Freud voleva
farci riflettere sulla complessità del mestiere della psicoanalisi, che
comunque, una volta che di fatto diventa una professione, deve avere le sue
regole come tutte le altre professioni.
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