Jeremy Safran in questo articolo (il cui titolo si
riferisce a un aforisma Zen di natura paradossale, come sono in genere questi
aforismi) cerca di spiegare in che modo il buddismo, che pratica da anni,
influenza la sua pratica psicoanalitica. Secondo Jeremy Safran il buddismo, tra le
altre cose, insegna il "non-dualismo" (nonduality), che è un tipo di
esperienza che aiuta a superare la distinzione tra categorie in genere ritenute
opposte (buono/cattivo, puro/impuro, sacro/profano, ecc.). Il pensiero
dualistico è al cuore di tanti problemi psicologici, e la saggezza del buddismo
aiuta a pensare e a capire le cose "come veramente sono", non in modo
idealizzato. In particolare, per Jeremy Safran la nonduality aiuta ad accettare
meglio i pazienti e anche se stessi. Nell'articolo seguente, Sara Weber discute
il contributo di Safran, e tra le altre cose commenta elogiativamente questo
contributo sottolineando la difficoltà - come espresso anche nel titolo del suo
articolo - a stare in equilibrio tra "arroganza" e "umiltà", sempre riferendosi
al buddismo tibetano. Safran, nella sua replica, sottolinea l'utilità dell'insegnamento
buddista di "arrendersi" (surrender) e accettare le cose "come veramente
sono" o "in quanto tali" (vedi il concetto di suchness, usato da Safran).
Qui ovviamente anche il buddismo viene inteso "in quanto tale", cioè non è
interpretato con categorie psicoanalitiche (allo stesso modo con cui, ad
esempio, oggi non è infrequente incontrare in riviste psicoanalitiche articoli
che parlano dell'importanza della religione "in quanto tale"). Se è per questo, non viene
menzionato a questo riguardo neppure il concetto fenomenologico di epoché.
Questo articolo ben testimonia un trend della
psicoanalisi nordamericana contemporanea, prevalentemente di stampo variamente
detto interpersonale, relazionale o intersoggettivo: quello di ricercare una
propria identità facendo riferimento a concetti e filoni che storicamente sono
stati esterni alla psicoanalisi e da cui essa ha cercato di differenziarsi (in
questo caso le filosofie orientali, e nell'articolo di
Storolow, che
è nello stesso numero, la fenomenologia), ma soprattutto facendo questa
operazione non da un punto di vista psicoanalitico, cioè "interpretando" i vari
aspetti di questi approcci con categorie psicoanalitiche, bensì come se questi
diversi approcci fossero per così dire "compartimenti stagni", ciascuno
separato dall'altro, e dove viene fatta poca riflessione sui concetti e sulle
operazioni psicologiche sottostanti alle diverse terminologie. Si veda a questo
proposito il commento all'articolo di
Bob Storolow, in questo stesso
numero 2/2006. Per un commento più approfondito, vedi la rubrica "Riviste" del
n. 3/2007 di Psicoterapia
e Scienze Umane.
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