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Normatività e descrittività nello studio del ragionamento
Luisa Montecucco
Universita' di Genova - Dipartimento di Filosofia
Il presente lavoro prende in considerazione le modalità
attraverso le quali il ragionamento è diventato oggetto di indagine
all'interno di diverse discipline. In particolare si chiede se la logica,
rispondendo alla domanda 'come dobbiamo ragionare', abbia carattere
esclusivamente normativo, e se la psicologia, rispondendo alla domanda
'come ragioniamo', abbia carattere esclusivamente descrittivo. La
risposta che viene qui data ad entrambe le domande è negativa:
normatività e descrittività non tracciano la linea di
confine tra logica e psicologia. Nella parte finale, si analizza brevemente
il modo in cui il ragionamento proposizionale viene trattato nella teoria
dei modelli mentali. Lo scopo è quello di evidenziare come il riferimento
ad una normatività di tipo logico nella ricerca psicologica sul
ragionamento di senso comune possa condurre ad esiti controintuitivi e forse
addirittura fuorvianti.
1. IL RAGIONAMENTO COME OGGETTO DI INDAGINE
Esistono teorie del ragionamento all'interno di discipline tanto
diverse quanto la logica, la retorica, la psicologia, la filosofia della
scienza, l'intelligenza artificiale, in dipendenza dagli specifici punti
di vista che la complessità semantica del termine impone. Nel linguaggio
comune le espressioni 'ragionamento' e 'ragionare' sono di uso frequente;
come parziali sinonimi sono proponibili 'argomentare', 'trarre
conclusioni', 'spiegare' o anche, in contesti di discorso più specifici,
'dimostrare', 'derivare', 'inferire', 'dedurre', 'indurre'. Ogni termine
quasi equivalente nel significato a 'ragionare' focalizza aspetti particolari
dell'attività fondamentale dell' 'usare la ragione', dell' 'avanzare
ragioni' per sostenere qualcosa. Ad esempio, 'persuadere' ha a che fare con
l'influenza esercitata da chi esegue un ragionamento su un particolare
destinatario in un determinato contesto comunicazionale.
Da un punto di vista molto generale, però, 'ragionare'
- nella sua struttura semantica essenziale - appare corrispondere al
comportamento manifestato (o manifestabile) linguisticamente
(1)
attraverso il quale non ci si limita a fare
affermazioni, ma si danno 'ragioni' per giustificarle. Lo schema di un
ragionamento contiene quindi l'affermazione che si intende sostenere
(tesi), le assunzioni esplicitamente portate a favore della
tesi, una base argomentativa (insieme di assunzioni implicite) lasciata
sottintesa. Ragionare equivale quindi a concatenare proposizioni in modo
tale che si possa trarre una conclusione (la tesi) sulla loro
base
(2).
Già a questo livello di analisi, del tutto informale
e introduttivo, emergono due aspetti essenziali dell'oggetto in esame: uno
riguarda i tipi di vincoli che collegano tra di loro gli anelli
dell'argomentazione perché possa dirsi tale, invece che un semplice
insieme di proposizioni; l'altro ha a che fare il suo contenuto semantico
e il riferimento a sistemi di conoscenze sul mondo attraverso la base
argomentativa. Questi aspetti sono distinguibili nei diversi tipi di ragionamento
utilizzati nel contesto generale del linguaggio di senso comune e nei linguaggi
specialistici delle scienze.
Le teorie scientifiche sono strutture argomentative complesse
sulla cui base vengono giustificate determinate ipotesi esplicative. Il
ragionamento scientifico si presenta come una forma di dimostrazione,
con differenze non trascurabili a seconda che si tratti di elaborare un'ipotesi
empirica, collegandola all'esecuzione di esperimenti, come in fisica, oppure
che si tratti di dimostrare un teorema a partire dagli assiomi di una scienza
formale, come in geometria. Nonostante il divario tra ricerca sperimentale
e processo deduttivo, il ragionamento scientifico ha alcune proprietà
costanti: mira al conseguimento della verità attraverso la
mediazione di altre proposizioni già note come vere o comunque
accettate; si rivolge ad un uditorio potenzialmente universale, cioè
a chiunque possa acquisire la competenza di comprendere e giudicare il discorso
della scienza; le sue basi argomentative sono proposizioni di carattere generale
(ipotesi empiriche, leggi, assiomi) formulate in un linguaggio specialistico
che tende ad eliminare ogni possibile ambiguità.
Dal ragionamento scientifico si distinguono le argomentazioni
che, per le caratteristiche intrinseche, per il contesto in cui vengono formulate
e per le finalità che intendono raggiungere, offrono minori garanzie
per quanto riguarda la loro portata veritativa. Costitutive dell'uso ordinario
del linguaggio, ma presenti anche in contesti più specifici, possono
essere considerate sotto l'aspetto cognitivo o sotto l'aspetto persuasivo,
o addirittura essere idealmente suddivise in due gruppi, a seconda che in
esse siano dominanti gli elementi cognitivi oppure quelli persuasivi.
L'argomentazione cognitiva mira ancora a raggiungere conoscenze vere
o almeno plausibili e ragionevoli; si rivolge ad un uditorio il più
ampio possibile; le sue basi argomentative possono consistere nell'osservazione
di fatti come in generalizzazioni anche collegate a scelte di valori, sulle
quali si suppone o si ricerca il consenso. L'argomentazione persuasiva
mira appunto alla persuasione; si rivolge ad un uditorio particolare,
in una data situazione di spazio e di tempo, con lo scopo di influire sulla
sfera affettiva ed emotiva dei singoli; le conoscenze generali che eventualmente
intervengono nelle sue basi argomentative sono subordinate al fine del
persuadere.
La tipologia introdotta si basa su distinzioni tanto antiche
quanto il pensiero aristotelico e apre uno spiraglio su temi legati al difficile
rapporto tra logica e retorica
(3)
. Corrisponde però a idealizzazioni operate
sull'effettivo uso linguistico dell'argomentare tanto nella scienza come
al di fuori di essa. Non sempre, ad esempio, un'argomentazione può
essere detta solo cognitiva o solo persuasiva e anche per quel che riguarda
il ragionamento scientifico non sono da escludere casi in cui emergono aspetti
dell'argomentazione persuasiva. Inoltre la persuasione costituisce una componente
motivazionale che accompagna l'argomentare in diversi contesti, anche in
quello privatissimo del soliloquio.
Al di sotto tuttavia delle caratteristiche proprie di ciascun
tipo, così come è stato qui idealmente e schematicamente
identificato, permangono comuni la struttura inferenziale e la funzione
probatoria: ragionamento scientifico e dimostrazione, argomentazione cognitiva
e persuasiva sono strumenti linguistici per garantire a diversi livelli
l'accettazione razionale di una tesi mediante il collegamento con altre
proposizioni già condivise (perché accertate come vere
o verosimili o comunque avanzate come condivisibili).
Da un punto di vista molto generale, una teoria del ragionamento
dovrebbe individuarne schemi validi e schemi fallaci, per permettere una
valutazione degli argomenti usati nei contesti più diversi. Quali
sono dunque i criteri di valutazione o, comunque, che cosa occorre valutare?
In base alle considerazioni precedenti, risulta possibile distinguere tra:
a) un punto di vista che tiene conto della correttezza dei legami
tra gli anelli argomentativi rispetto ad un sistema di regole;
b) un punto di vista che valuta i contenuti dell'argomentazione
e la sua portata veritativa;
c) un punto di vista che privilegia la forza persuasiva in rapporto
ad un fine da raggiungere
(4).
In altre parole, sono in gioco la dimensione formale, quella
conoscitiva e quella dialettica del ragionamento, la cui interrelazione è
già stata sottolineata. Con gli Analitici Primi, gli Analitici
Secondi e i Topici, oltre che con la Retorica, Aristotele
intraprese un'indagine disgiunta di queste tre dimensioni. Già nelle
prime righe dei Topici
(5),
che sembrano appartenere ad un periodo iniziale dell'opera aristotelica,
si definisce l'argomentazione come "un discorso nel quale, poste alcune
cose, qualcosa di diverso da ciò che è posto risulta
necessariamente mediante ciò che è posto", con riferimento
quindi al particolare nesso inferenziale che verrà esplorato negli
Analitici Primi dando luogo alla teoria del sillogismo. Si
parla subito dopo di dimostrazione, "quando l'argomentazione risulta
da asserzioni vere e primitive, oppure da asserzioni tali che hanno il fondamento
della conoscenza, ad esse relativa, mediante alcune asserzioni vere e primitive",
tema di indagine degli Analitici Secondi. Infine, al metodo per costruire,
per ogni problema che possa essere proposto, un'argomentazione
dialettica, "che argomenta muovendo da opinioni notevoli", quelle cioè
generalmente accettate, sono dedicati appunto i Topici.
Il percorso ideale che collega la teoria delle inferenze valide
(analitica o sillogistica) alla teoria dell'argomentazione dimostrativa
(apodittica), a quella dell'argomentazione probabile (dialettica), e a quella
dell'argomentazione persuasiva (retorica), potrebbe essere interpretato come
un progressivo allontanamento dal tipo di argomentazione ideale, la cui
validità è controllabile mediante schemi formali, fino ad arrivare
alle fallacie dell'argomentazione eristica considerate nelle Confutazioni
sofistiche. Una valutazione di segno opposto vedrebbe invece in tale
processo un graduale ampliamento dell'ambito di indagine, per includervi
quegli aspetti del 'ragionare' non catturati dal punto di vista che mette
a fuoco la correttezza delle strutture inferenziali, e cioè il punto
di vista propriamente logico. Sarà questa la prospettiva privilegiata
nel corso del presente lavoro.
2. LA LOGICA È SOLO NORMATIVA?
Da Aristotele in poi, la logica - come è stata denominata
la disciplina che corrisponde alla sua 'analitica' e alla 'dialettica' degli
Stoici - ha mantenuto un' anima formale, espressa per la prima volta nella
teoria del sillogismo. Suo oggetto sono dunque le forme del ragionamento
corretto, del quale studia le regole, indipendentemente da considerazioni
di contenuto semantico e di verità o falsità delle proposizioni
concatenate. Suo compito non è infatti fornire i mezzi per individuare
quali proposizioni siano vere, ma dare dei criteri per garantire la
verità di certe proposizioni se altre da cui dipendono sono vere.
Il che corrisponde in sostanza alla definizione aristotelica posta all'inizio
sia dei Topici che degli Analitici Primi. Quindi la logica
(6) produce
degli schemi, delle strutture linguistiche o in generale simboliche, in cui
sono rese esplicite tutte le concatenazioni inferenziali. Uno schema
valido
(7)
rappresenta lo scheletro logico di un'intera classe potenzialmente
infinita di argomentazioni corrette, linguisticamente espresse. Garantisce
quindi che in esse le conclusioni raggiunte rispettando determinati vincoli
sintattici conseguono effettivamente dalle premesse: se queste sono vere,
la conclusione sarà necessariamente vera. Se queste sono false,
l'argomento è ancora valido, perché se le sue premesse
fossero vere la sua conclusione dovrebbe essere vera. Questa complessa
relazione tra verità e validità conduce anche a qualificare
come invalidi argomenti in cui premesse e conclusione sono vere, ma la
conclusione potrebbe diventare falsa rimanendo vere le premesse. Manca quindi
in essi la particolare connessione formale tra premesse e conclusione che
garantisce la trasmissione della verità. Come dunque la sillogistica
aristotelica intendeva distinguere tra sillogismi validi e sillogismi invalidi,
il problema centrale della logica (classica, deduttiva) è la distinzione
tra ragionamenti validi e ragionamenti invalidi o fallaci. E, generalizzando
ancora, il problema centrale di una logica comunque specificata è
la distinzione tra ragionamenti corretti e ragionamenti scorretti.
Che rapporto si può porre tra il punto di vista logico,
quindi formale, della correttezza delle argomentazioni e le argomentazioni
effettive, caricate di un contenuto semantico, di una portata veritativa,
di una particolare funzione in un contesto comunicazionale specifico? Se
la logica è una teoria delle forme valide del ragionamento, che rimangono
invarianti rispetto alle loro possibili assegnazioni di contenuto semantico,
allora può presentarsi come un calcolo astratto, che non rende però
conto della complessità e della ricchezza dei ragionamenti condotti
ai livelli di senso comune e anche di discorso scientifico, soprattutto quando
si tratta delle scienze 'non esatte'.
Nel suo sviluppo storico fino all'epoca contemporanea, la logica
ha percorso un cammino che l'ha allontanata progressivamente dalla retorica
e avvicinata piuttosto alla matematica, grazie all'emergere di analogie tra
ragionamento logico e ragionamento aritmetico-algebrico, favorito dall'espandersi
della matematica formale. I nomi di Hobbes, di Leibniz, di Boole, di Frege
rappresentano momenti fondamentali dell'imporsi dell'idea di calcolo
logico. Attualmente, la crescente astrattezza, i tecnicismi, la natura
controintuitiva delle indagini in essa condotte hanno contribuito a far avanzare
la logica, o meglio il modo in cui la logica viene intesa, nella seguente
direzione:
1. la logica ha carattere puramente normativo rispetto al ragionare:
essa individua come si dovrebbe ragionare per ragionare correttamente;
2. la logica non si occupa affatto dei ragionamenti di senso
comune, ma solo di dimostrazioni;
3. la logica è lo studio del ragionamento matematico;
4. la logica è una disciplina matematica astratta e il
rapporto tra i suoi calcoli e i ragionamenti si allenta fino a vanificarsi.
Una chiarificazione sui problemi e anche sui fraintendimenti
derivanti da queste posizioni, nell'ordine imposto dal crescente incrinarsi
dell'equilibrio classico tra il fine della coerenza formale e quello della
corrispondenza alla 'logica naturale', viene dalle riflessioni di Evandro
Agazzi sia nell'ambito organico del suo testo sulla logica simbolica che
in numerosi contributi specialistici
(8).
Quanto dunque alla normatività della logica , se viene accettata come
suo tratto distintivo, escludente aspetti descrittivi, conduce ad un tipo
di contrapposizione come quella espressa da Kant nella sua "Introduzione"
alla Logica
(9). La
logica artificiale o scientifica, unica per Kant ad essere correttamente
denominata logica, è
...una scienza del retto uso, in generale, dell'intelletto e della
ragione, ma non in senso soggettivo, cioè non secondo principi empirici
(psicologici) del modo in cui l'intelletto pensa, bensì in senso
oggettivo, cioè secondo principi a priori del modo in cui esso deve
(10)
pensare.
Da essa viene tenuta distinta "...la logica naturale o logica
della ragione comune (sensus communis)", considerata piuttosto una
scienza antropologica: "...essa ha solo principi empirici, in quanto tratta
delle regole dell'uso naturale dell'intelletto e della ragione...".
Prescindendo da quanto, nelle espressioni precedenti, rimanda
all'impianto concettuale kantiano, possiamo interpretare in termini attuali
tale contrapposizione: la logica in quanto tale risponderebbe alla domanda
"come dobbiamo ragionare se intendiamo ragionare correttamente?",
mentre sul "come ragioniamo?" interverrebbe la "logica della ragione comune",
i cui compiti rientrano oggi nella psicologia del pensiero. La logica si
qualificherebbe dunque come normativa e la psicologia come descrittiva. Il
quadro concettuale è però molto diverso se si ritiene - oppure
no - di poter rispondere alla prima domanda indipendentemente da una risposta
alla seconda
(11).
Se la risposta è negativa, lo studio del ragionamento corretto rimanda
allo studio del ragionamento così come viene effettivamente condotto;
la spiegazione di tipo logico si fonderebbe allora sulla spiegazione di tipo
psicologico. Se la risposta è affermativa, l'indagine di tipo normativo
della logica non ha niente a che fare con l'indagine di tipo descrittivo
della psicologia.
Nel primo caso, si procede verso uno snaturamento della logica
come scienza formale, fino a trasformarla nella scienza antropologica di
cui parlava Kant. Nel secondo caso, si favorisce un'interpretazione della
logica come sistema di calcoli, svincolati dal rapporto con i modi in cui
sono condotti i ragionamenti a livello di senso comune. Questa netta
contrapposizione sembra insoddisfacente: isolare la 'pura normatività'
rispetto ad una 'pura descrittività' negli studi sul ragionamento
non sembra realizzabile, come emerge da considerazioni di natura molto generale.
Da dove infatti vengono le indicazioni circa le norme del ragionar corretto,
se non dal ragionare, in qualche modo corretto, tramite il quale tra l'altro
costruiamo la logica stessa? E come possiamo descrivere i ragionamenti se
non utilizzando norme implicite che ci permettono di individuarli come tali?
2.1 Normatività logica e senso comune
Una via di uscita è lucidamente indicata da Agazzi
(12)
attraverso il riconoscimento dell'interrelazione essenziale
tra normatività e descrittività e quindi della presenza di
aspetti normativi e descrittivi in logica. Seguiamo dunque le linee
della sua argomentazione a sostegno della tesi che il senso comune, considerato
sotto l'aspetto cognitivo, "... fornisce il quadro imprescindibile entro
il quale si può ricercare un fondamento normativo per la logica...".
Invece di optare per normatività o per descrittività a proposito
della logica, cadendo in circoli viziosi, occorre ripensare la stessa nozione
di norma: liberata dagli ambigui connotati di "imperativo" e intesa
invece in senso cognitivo, si rivela equiparabile ad una definizione
(13) .
Come tale, permette infatti di determinare una classe di oggetti (tutti e
soli quelli che la soddisfano); nel caso delle norme logiche, gli oggetti
sono appunto i ragionamenti corretti. L'aspetto descrittivo entra invece
in gioco quando si tratta di pervenire alla definizione, e poi di valutarne
l'adeguatezza, a proposito degli oggetti che la nostra 'intuizione'
ritiene siano da includere o da escludere nella classe da essa determinata.
Si tratta tuttavia di una descrittività non 'pura', in quanto deve
inglobare un certo grado di normatività, in corrispondenza con quanto
già sappiamo sugli oggetti da definire e sulle caratteristiche che
essi devono avere.
..la descrizione (reale) già contiene una certa normatività
implicita, e a sua volta la normatività esplicita della definizione
deve continuamente fare i conti con la descrizione e adattarsi ad essa.
Si stringe dunque il rapporto tra norma logica e senso comune,
che in molti sviluppi della logica contemporanea, o nelle loro interpretazioni,
sembrava essersi perduta. Se la logica codifica in modo esplicito i processi
argomentativi che sottendono il ragionamento di senso comune, tra senso comune
e logica non c'è solo un ordine genetico, ma un legame che corrisponde
ad un criterio di fondazione: "...il senso comune rimane l'ultima istanza
in base alla quale giudicare della adeguatezza delle stesse regole
logiche..."
2.2 Conseguenza logica e senso comune
A questo punto la natura convenzionale dei calcoli logici, nei
quali si ricavano le conseguenze di un numero limitato di assiomi tramite
un numero limitato di regole di derivazione, non è più sostenibile:
se il loro ruolo è appunto quello di definizioni reali, devono soddisfare
dei requisiti di adeguatezza. Non qualunque calcolo è un calcolo
logico (non lo è ad esempio un gioco, che pure si presenta come
un sistema coerente di regole).
A livello metateorico, si richiede infatti che un calcolo
logico sia corretto (dimostrando quindi per esso un teorema di
correttezza): qualora cioè le sue regole vengano interpretate per
esprimere proposizioni, il calcolo deve consentire di ricavare soltanto
le conseguenze logiche di un insieme di proposizioni assunte come premesse.
Mentre questa condizione ha da essere obbligatoriamente soddisfatta perché
il calcolo sia qualificabile come 'logico', una seconda condizione - in base
alla quale il calcolo è anche completo, se consente di ricavare
tutte le conseguenze logiche di un certo insieme di premesse - non
può essere soddisfatta (come la logica matematica moderna ha scoperto)
al di sopra di un certo grado di complessità del calcolo stesso.
A livello di senso comune, la base descrittiva alla quale
sono collegati i calcoli logici è la nozione intuitiva di conseguenza
logica, che rende possibile il nostro ragionare concatenando proposizioni
in modi giudicati corretti. Se
...l'argomentare è concepito in seno al senso comune come uno
strumento in forza del quale si può affermare la verità
di una proposizione, anche quando questa non risulti
immediatamente...,
allora un calcolo logico è normativo nei confronti di quel particolare
tipo di nesso proposizionale che consente di "...rimanere dentro la
verità anche quando ci si allontani dalla sua presenza." Questo
passaggio - e la sua giustificazione - dalla verità immediata, per
cui certi oggetti sono presenti intenzionalmente al pensiero, alla
verità mediata rappresenta il problema proprio della logica tradizionale
(o classica) per questo chiamata aletica, o 'della verità'.
Quanto si è venuto finora indagando a proposito dello
studio del ragionamento ha isolato proprio questa componente dell'argomentare,
quella cioè che ha a che fare con relazioni di verità.
L'argomentare che coinvolge nozioni come quelle di necessità e di
possibilità, di dovere e proibizione, di credenza e di conoscenza,
viene invece 'catturato' dalle logiche non classiche, come le logiche modali,
deontiche o epistemiche: per quanto riguarda il loro rapporto con il senso
comune, valgono considerazioni analoghe a quelle qui rivolte alla logica
classica.
2.3 Idealizzazione logica e senso comune
Può sorprendere che la nozione sofisticata e complessa
di conseguenza logica, che viene trattata tecnicamente in logica in riferimento
a schemi artificiali di formule o a schemi di frasi usuali di cui comunque
si considera la forma, venga individuata a livello di senso comune. Sembra
anzi appartenere propriamente solo alla matematica
(14) ,
che davvero prescinde da contenuti semantici e le cui formule ammettono diverse
interpretazioni. Infatti la relazione di conseguenza logica sussiste per
definizione, come è stato più volte evidenziato, tra premesse
e conclusione quando questa risulta vera ogni volta che le premesse sono
vere. Occorre quindi ammettere la possibilità di diverse interpretazioni
per le formule del calcolo logico, che di per sè non ne hanno alcuna,
mentre nel linguaggio naturale le frasi, se non sono ambigue, hanno una sola
interpretazione.
Da una parte, dunque, si è lentamente imposto in logica
"il riconoscimento della centralità del ruolo della conseguenza logica",
come sottolinea Palladino
(15),
che indica come momento decisivo la dimostrazione del teorema di completezza
da parte di Gödel (1930). Dall'altra, la natura formale di tale relazione
la renderebbe applicabile solo al ragionamento matematico, anzi definibile
in rapporto ad esso, contribuendo a stringere i rapporti tra logica e matematica.
A questo proposito, Agazzi interviene riconoscendo, come si
è visto, che la nozione di conseguenza logica è prima di tutto
una nozione appartenente al senso comune (un senso comune sottoposto a
riflessione),
...in quanto sorregge la nostra abitudine a 'ragionare', cioè
a concatenare proposizioni e a giudicare quali concatenazioni sono
corrette e quali scorrette.
Ovviamente è qui in gioco una particolare concezione
di senso comune, che consente di attribuire ad esso le funzioni di base
descrittiva e fonte normativa per la logica. Invece di caratterizzarlo
come un "deposito di credenze", più o meno fondate, al quale
si attinge al di fuori di ogni competenza specifica, Agazzi lo intende piuttosto
come un "orizzonte di evidenze fenomenologiche che devono essere
analizzate, comprese ed esplicitate". Questo processo coincide con l'elaborazione
di concetti, il cui ruolo è sia descrittivo rispetto a certi
oggetti individuali che li esemplificano (siano essi gatti o ragionamenti
di senso comune), sia normativo-classificatorio. Quale rapporto sussiste
sotto quest'ottica tra calcoli logici e ragionamenti di senso comune? Agazzi
argomenta che i calcoli logici
...non descrivono niente in un senso empirico, anche
se descrivono qualcosa in un senso assai più profondo, ossia descrivono
il modo in cui il pensiero umano si muove e scava dentro l'orizzonte della
verità.
La base descrittiva di un calcolo logico, che ne giustifica
la normatività, è infatti la nozione di conseguenza logica,
non il ragionamento di senso comune. La logica opera una idealizzazione
del ragionamento di senso comune, nel senso che di esso, attraverso un
processo astrattivo, costruisce una rappresentazione idealizzata in cui il
nesso di conseguenza logica viene fedelmente riprodotto. I ragionamenti che
vengono posti in atto in diversi contesti semantici e comunicazionali
esemplificano, entro certi limiti, la struttura ideale dei ragionamenti
logicamenti corretti.
Logiche diverse idealizzano forme diverse dell'argomentare,
in un "...continuo adeguarsi a codificare e normare il ragionamento
di senso comune." La logica rilevante, ad esempio, che mantiene
l'obiettivo della logica classica di esplicitare la relazione di conseguenza
logica, opera una idealizzazione di diverso tipo, per tener conto di quelle
connessioni di significato tra premesse e conclusione che l'intuizione di
senso comune avverte come essenziali.
3. LA PSICOLOGIA È SOLO DESCRITTIVA?
Le riflessioni fin qui condotte, in modo necessariamente schematico
rispetto alla complessità della prospettiva di Agazzi, hanno messo
in luce come la normatività della logica non equivalga a
convenzionalità. Le varie logiche ricavano infatti dei tipi ideali
dalle argomentazioni concretamente poste in atto, che a loro volta
esemplificano diverse idealizzazioni, così come qualunque oggetto
individuale esemplifica diversi concetti, per loro natura rappresentazioni
idealizzate. La logica matematica, se intesa come logica del ragionamento
matematico (16)
, non esaurisce dunque l'orizzonte della logica: si potrebbe
anzi dire che ne è solo un capitolo, dato che l'ambito dell'argomentare
corretto sopravanza quello dell'argomentare matematico.
Si tratta ora di vedere se e come le nozioni fin qui analizzate
di normatività e di idealizzazione, in rapporto al nesso di conseguenza
logica, hanno a che fare con lo studio del ragionamento dal punto di vista
psicologico. Come si è visto, questo viene qualificato come descrittivo,
in quanto cerca di rispondere a domande sul "come ragioniamo?",
quotidianamente, in contesti diversissimi di significato e di comunicazione,
al di fuori da ogni competenza specifica. Nello stesso tempo, però,
la psicologia del pensiero - una delle aree in cui si è suddivisa
la ricerca cognitiva contemporanea - concentrandosi inizialmente sul ragionamento
deduttivo ha dovuto fare i conti con il quadro concettuale elaborato dalla
millenaria tradizione logica. Ne è derivata l'assunzione in ambito
psicologico delle norme del ragionare logicamente corretto, dalle quali viene
studiata la devianza, generando -più che una psicologia del ragionamento
quotidiano - una psicologia dell'errore rispetto ad una supposta (come innata
o in qualche modo appresa) competenza logica ideale
(17).
Nella rimanente parte di questo lavoro, si cercherà dunque
di riflettere sulle possibili distorsioni dell'interazione tra una
normatività di tipo logico e lo studio psicologico del ragionamento
di senso comune. Proseguendo l'analisi della nozione di normatività
e in accordo con quanto già detto, risulta evidente che qualunque
scienza opera un certo tipo di idealizzazione sulla realtà, nel
momento stesso in cui procede a descriverla attraverso un processo di astrazione
che ne filtra alcuni aspetti e rende possibile la costruzione di concetti.
Senza voler alludere ad una prospettiva platonizzante, il concetto è
un costrutto ideale, le cui caratteristiche definitorie vengono solo
parzialmente realizzate dagli oggetti concretamente esistenti che lo
esemplificano ( e che, come si è detto, esemplificano anche altri
concetti). L'aspetto normativo corrisponde alla esplicitazione delle
proprietà che gli oggetti debbono soddisfare per rientrare
nella classe corrispondente all'estensione del concetto.
Tornando alla psicologia del pensiero, risulta impossibile
descrivere il ragionamento di senso comune senza che la nostra descrizione
abbia implicazioni normative. E' infatti per idealizzazione che attribuiamo
ragionamenti e li riconosciamo come tali, prescindendo dai possibili errori
e anche da una ricerca accurata degli stessi, ma non da una caratterizzazione
più o meno implicita del ragionare rispetto allo 'sragionare'. Quando
isoliamo il 'patologico' rispetto al 'normale', ci poniamo già sotto
un'ottica idealizzante. Una psicologia descrittiva, che non fosse anche normativa
e valutativa, non assolverebbe la funzione propria di ogni disciplina scientifica
di avanzare spiegazioni e previsioni a proposito di un certo universo di
oggetti (normativamente) definiti attraverso gli strumenti concettuali e
operativi ad essa inerenti. Come Agazzi ha più volte chiarito, le
'cose' della realtà quotidiana diventano infatti 'oggetti' di una
particolare scienza attraverso modalità specifiche di idealizzazione
che agiscono come norme costitutive degli oggetti stessi
(18).
Se ogni scienza si occupa dunque delle cose sotto un certo punto
di vista, a partire dal processo fondativo di precisare i propri metodi di
indagine e contemporaneamente individuare i propri oggetti, ogni nozione
scientifica viene relativizzata ad un contesto, cioè rispetto al suo
universo di oggetti. Questo significa anche che i criteri di idealizzazione
costitutivi dei concetti fondamentali della logica hanno inerenze normative
interne alla disciplina stessa e relative ai suoi propri oggetti. Da una
psicologia del ragionamento ci si aspetterebbero forme di normatività
appropriate a descrivere e a spiegare non tanto e non solo la
consequenzialità logica dell'argomentare di senso comune o le sue
fallacie, ma le complesse strategie attraverso le quali le argomentazioni
concrete vengono concluse, si rivelano pertinenti ad un contesto e persuasive,
svolgono comunque un ruolo cognitivo.
Una difficoltà propria della psicologia deriva dal suo
essere inevitabilmente autoriflessiva: da una parte "il soggetto studiato
viene sempre in qualche misura riconosciuto cooperatore nella ricerca"
(19),
dall'altra le spiegazioni dello psicologo dovrebbero idealmente anche rendere
conto della sua attività in quanto psicologo. Due diversi livelli
di norme entrano così in gioco, dato che alla normatività propria
dell'idealizzazione psicologica (che definisce o dovrebbe definire, ad esempio,
che cosa è un 'ragionamento di senso comune') corrisponde l'insieme
di presupposizioni (norme implicite) in base alle quali il soggetto non solo
ragiona, o sragiona, ma anche riconosce e attribuisce ragionamenti e
'sragionamenti'. Il rischio diventa quello di confondere i due livelli,
attribuendo al comune soggetto raziocinante una competenza argomentativa
ideale, che impone il problema di giustificarne l'origine e conduce a situazioni
sperimentali controintuitive. Un altro rischio è quello per cui lo
psicologo attribuisce a se stesso un punto di vista assoluto di "puro soggetto
conoscente", come se il discorso scientifico sul senso comune fosse estraneo
al senso comune stesso, invece che uno specifico sviluppo delle
potenzialità di autotrascendenza delle persone, già a livello
del senso comune
(20).
A sostegno delle riflessioni e delle critiche portate avanti fino
a questo punto, prendiamo in considerazione come caso esemplare il trattamento
dei connettivi proposizionali all'interno della teoria dei modelli mentali
(TMM) di Johnson-Laird
(21).
Questa teoria computazionale del ragionamento, che ha dato luogo ad un complesso
insieme di ricerche sperimentali sulla cui base si è andato ampliando
il suo ambito di applicazione, si propone di spiegare quali sono le
caratteristiche della normale competenza inferenziale e in che modo, anche
sistematico, si determinino gli errori. Punto di partenza è la tesi
che il ragionamento "...non è un processo sintattico e formale; esso
richiede invece che i significati vengano compresi e le loro rappresentazioni
mentali manipolate."
(22) :
La comprensione del discorso produce infatti un modello mentale, la
cui struttura corrisponde alla struttura della situazione descritta; potrebbe
dunque essere definito come una rappresentazione mentale semianalogica
di uno specifico stato di cose.
La TMM intende porsi in alternativa alle teorie che ipotizzano
l'esistenza di una logica mentale, secondo le quali il ragionamento consisterebbe
nell'applicazione di regole di inferenza mentali alle premesse e alla conclusione
di un argomento: tali dimostrazioni implicite (nel caso del ragionamento
deduttivo) sarebbero analoghe alle dimostrazioni esplicite della logica
elementare. I modelli mentali sono invece strutture semantiche, che non
contengono variabili; in essi è anche possibile integrare l'informazione
contenuta nelle premesse utilizzando la conoscenza generale del mondo disponibile
al soggetto. La TMM prevede infatti che le persone facciano assunzioni arbitrarie
allo scopo di costruire un modello, quando la comprensione e il ragionamento
si svolgano con dati incompleti. Dato che il modello mentale è
modificabile in presenza di nuove informazioni, la teoria è in grado
di spiegare la 'non-monotonicità' del ragionamento di senso comune:
l'acquisizione di nuove informazioni può indurre cioè a ritrattare
una conclusione (in contrasto quindi con la proprietà di
'monotonicità' di un calcolo logico classico).
Per la TMM il ragionamento proposizionale, in cui vengono
usati connettivi come 'e', 'oppure', 'se...allora', consiste dunque nella
costruzione e valutazione di modelli mentali piuttosto che nella estrazione
e manipolazione di forme logiche. Il significato dei connettivi proposizionali
potrebbe essere definito attraverso tavole di verità, come avviene
in logica, ma risulta improbabile che soggetti senza preparazione logica
specifica impieghino tavole di verità. Secondo Johnson-Laird, ciò
che serve è una teoria che "...riconcilii la semantica delle tavole
di verità con i vincoli dell'elaborazione mentale, in modo da spiegare
la performance umana."
(23)
L'obiettivo è dunque di chiarire i processi inferenziali - compreso
l'uso dei connettivi - nel ragionamento ordinario, arrivando ad una teoria
dell'esecuzione. Quello che succede, invece, è che la struttura dei
possibili modelli corrispondenti ad una proposizione composta, ad esempio
del tipo 'se p allora q', viene costruita operando una evidente astrazione
da contenuti particolari e ricorrendo alle proprietà verofunzionali
del connettivo 'se...allora'. La manipolazione corretta dei modelli
di p e di q per costruire il modello della proposizione composta
equivarrebbe dunque all'esibizione di una ideale competenza logica.
Se di teoria dell'esecuzione si tratta, la TMM, contrariamente
ai suoi intendimenti iniziali, diventa allora una teoria dell'esecuzione
per un ragionatore ideale, in possesso di regole astratte. L'esito è
contraddittorio, perchè da un lato si sostiene che il ragionamento
è un processo semantico, coinvolgente i contenuti delle premesse e
il riferimento ad una generale conoscenza del mondo, mentre dall'altro il
tipo di razionalità delineata coincide con la logicità, cioè
con la capacità di effettuare deduzioni valide. Sembrerebbe allora
necessario ridefinire il concetto di competenza inferenziale normale, al
di fuori dei criteri normativi della logica.
Considerazioni analoghe si potrebbero fare per il modo in cui
la teoria interpreta il ragionamento sillogistico: anche in questo caso,
l'esecuzione viene giudicata corretta in riferimento ad un insieme di regole
del tipo della sillogistica artistotelica. E' questa una struttura fortemente
idealizzata, che permette di controllare la correttezza dei ragionamenti
di senso comune solo una volta che siano costretti dentro i suoi schemi e
privati di quelle caratteristiche semantiche e conversazionali di essi
costitutive. Sembrerebbe quindi che la TMM si proponga non tanto di rispondere
alla domanda 'come ragioniamo?', ma alla domanda 'ragioniamo come
dovremmo ragionare?'.
Concludendo, se per la psicologia del ragionamento si vuole evitare il ruolo
limitativo di proporre teorie dell'errore, definito rispetto all'attribuzione
di una competenza logica ideale, occorre che questa disciplina precisi i
criteri propri di idealizzazione al fine di salvaguardare la specificità
dei suoi oggetti. Questa ricerca difficile di autoidentificazione, che dovrebbe
stabilire l'originalità del discorso della psicologia rispetto ai
pericoli di riduzionismo ad altre scienze, sembra attraversare tutto l'orizzonte
delle diverse teorie psicologiche.
NOTE
(1) Con questa precisazione, collegata agli
scopi e ai limiti di questo lavoro, si intende circoscrivere l'ambito
dell'indagine al piano del linguaggio. Non vengono quindi affrontati
problemi specifici del rapporto pensiero-linguaggio, anche se si può
dire che il ragionare abbia un versante mentale e un versante comportamentale.
Inoltre il versante comportamentale si esprime non solo attraverso il linguaggio,
ma anche sul piano dell'azione, come quando ragioniamo, o meglio "mostriamo
di ragionare", utilizzando correttamente uno strumento. Anche questo tema,
che porta molto lontano, fino ad esplorare le 'ragioni' in base alle quali
agiscono gli animali, viene qui accantonato.
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(2) Si considera il ragionamento come
linguisticamente espresso e concluso, sotto l'aspetto quindi della sua
funzione dimostrativa, distinta dalla funzione euristica che
esso assume quando, partendo da premesse assunte come vere o verosimili o
comunque accettate, si ricerca quali siano le conclusioni teoriche o pratiche
che è possibile trarne
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(3) Perelman (1981) preferisce chiamare
'ragionamento argomentativo' ciò che Aristotele aveva denominato
'ragionamento dialettico'. La sua teoria dell'argomentazione, elaborata
negli anni '50 insieme a Olbrechts-Tyteca, recupera l'idea aristotelica di
retorica con lo scopo di rivalutare l'uso pratico della ragione. Nel corso
del presente lavoro, tuttavia, 'ragionamento' ed 'argomentazione' (anche
'argomento') sono utilizzati come interscambiabili, a meno che non siano
specificatamente qualificati.
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(4) I tre punti di vista qui considerati sono
in ovvia corrispondenza con la tripartizione sintassi-semantica-pragmatica
introdotta da Morris per lo studio generale dei segni.
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(5) Cf. Aristotele, I Topici, trad.
introd. comm. a cura di A. Zadro, Luigi Loffredo Editore, Napoli, 1974 (I,
100 a 25-29). Le opere di Aristotele vengono citate senza alcun riferimento
all'effettivo ordine cronologico di composizione, così come risulta
dalle ancora controverse indagini filologiche.
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(6) Viene qui sottolineato l'aspetto più
applicativo della ricerca logica, rispetto a quello più teorico rivolto
allo studio dei sistemi formali e alla ricerca delle leggi logiche.
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(7) Vale la pena di ricordare, a questo punto,
che in logica i termini 'valido'/'invalido' oppure 'corretto'/'scorretto'
qualificano gli argomenti deduttivi, i quali garantiscono in modo assoluto
- se validi (corretti)- la verità della conclusione quando le premesse
sono vere. Verità e falsità possono invece essere predicati
solo di proposizioni, mai di argomenti.
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(8) Oltre ad Agazzi (1964, 1989),
si tiene qui presente soprattutto Agazzi (1986) e il recentissimo Agazzi
(1998) in via di pubblicazione.
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(9) Per le citazioni seguenti cf.
Kant I., Logica, a cura di L. Amoroso, Laterza, 1984, pp. 10-11.
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(10) Corsivo nostro.
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(11) Cfr. Vassallo (1997), che
considera anche il rapporto con una terza domanda collegata alle prime due
- "ragioniamo come dovremmo ragionare?" - nel contesto della tradizione
filosofica inglese in cui è inquadrabile il pensiero di Boole e in
riferimento al suo supposto psicologismo. Il complesso tema dello psicologismo,
secondo il quale le leggi logiche sono espressione di leggi psichiche, non
viene invece affrontato qui, in quanto l'indagine verte sulle caratteristiche
proprie del punto di vista logico e di quello psicologico, invece che sulle
possibili interrelazioni tra i rispettivi risultati
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(12) Cfr. Agazzi (1998), da cui
sono tratte tutte le citazioni seguenti, a meno che non sia altrimenti indicato.
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(13) Si intende
qui riferirsi alle definizioni 'reali', strumenti concettuali con cui viene
resa esplicita la nostra catalogazione di diversi tipi di realtà,
contrapposte alle cosiddette definizioni 'nominali', né vere né
false in quanto stipulazioni linguistiche.
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(14) Per la
giustificazione di questa prospettiva, diversa da quella qui assunta, cfr.
Lolli (1996), in particolare il capitolo su "Il ragionamento".
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(15) Cfr. Palladino (1998), in
via di pubblicazione, che approfondisce appunto gli stretti legami tra la
matematica e quel settore dell'indagine logica che oggi è denominato
'logica matematica'. Per una riflessione accurata sui due sensi fondamentali
che si possono attribuire a tale denominazione ('logica costruita
matematicamente' vs 'logica della matematica'), cfr. Agazzi (1986).
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(16) Se si intende invece come
'logica costruita matematicamente', allora si tratta della trattazione matematica
di un settore della logica per cui la preliminare analisi filosofica ha raggiunto
un sufficiente grado di esattezza. La logica matematica offre di conseguenza
strumenti sofisticati e pertinenti per trattare problemi logici, come viene
chiarito in Agazzi (1986).
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(17) Cfr. Mosconi
(1990) e (1998), per una analisi dei fraintendimenti derivanti dall'assumere
in psicologia norme della logica e della teoria della probabilità:
invece di mettere in evidenza le regole discorsive proprie dell'argomentare,
le ricerche psicologiche sul ragionamento hanno spesso dato luogo ad esperimenti
organizzati come esercizi logici espressi in linguaggio comune.
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(18) Al rapporto
tra 'cosa' e 'oggetto', fondamentale nell'epistemologia di Agazzi, fanno
specifico riferimento soprattutto i saggi contenuti nella terza parte di
questo volume. Cfr. Agazzi (1981), invece, per una distinzione tra norme
costitutive, che identificano oggetti, e norme prescrittive, che corrispondono
a imperativi morali e giuridici.
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(19) Cfr. Muzi (1981), pag. 117.
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(20) Questa osservazione è
inquadrabile nella prospettiva generale secondo cui l'evoluzione del senso
comune produce la scienza, come anche le riflessioni sulla logica nella
sezione precedente hanno indicato.
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(21) Cfr. Johnson-Laird (1983),
(1993) e Johnson-Laird, Byrne(1993).
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(22) Cfr. Johnson
-Laird (1993), pag.20. (Torna
al testo)
(23) Cfr. Johnson-Laird, Byrne(1993),
pag. 43. (Torna al
testo)
BIBLIOGRAFIA
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and Philosophy of Logic, vol. 18, n. 4.
Il presente lavoro è pubblicato in: Montecucco L. (a cura di), Contesti
Filosofici della Scienza, Brescia: Ed.La Scuola, 1997. Viene qui riprodotto
per cortese concessione dell'Editore.
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