Le preoccupazioni sollevate da Vance Packard agli inizi degli anni cinquanta con il suo celeberrimo testo "I Persuasori occulti" (1) rimangono, ancor oggi, un argomento che non smette di affascinare.
Egli denunciò come la triplice alleanza tra nuovi mass-media, scienziati e pubblicitari, avrebbe creato una "fabbrica del consenso" capace di togliere all'Occidente una discreta fetta del suo libero arbitrio.
Da allora sono successe molte cose, alcune di particolare importanza.
Lo stesso Packard nel 1980, in una post-fazione al suo testo originario, partendo dalla presa d'atto che le sue previsioni catastrofiche sul potere dei mass-media non si erano realizzate se non in minima parte o, peggio, nella direzione opposta, afferma:
Quando il libro uscì alla fine degli anni cinquanta dila-gavano, e venivano massicciamente incoraggiati, i consumi vistosi. Si faceva un mito tanto delle famiglie numerose quanto delle grosse macchine, e infatti negli Stati Uniti c'e-rano 3,7 figli per ogni famiglia. Più bambini, pensavano i com-mercianti, più clienti in futuro.
Oggi il numero dei bambini è sceso a 1,9 per famiglia.
La pubblicità vent'anni fa descriveva come l'ideale delle mamme di città il guidare una giardinetta carica di bambini per portarli alla lezione di musica, quando non li trascina-vano in drogheria. Dichiarava che le donne della piccola borghesia si sentivano realizzate se facevano brillare i pavi-menti della cucina con la marca X. Quasi tutti ritenevano importante indossare vestiti decenti, di buona fattura.
Negli anni sessanta si verificò un cambiamento traumati-co nella mentalità nazionale in molti paesi. I giovani ribel-li della contro-cultura hanno lasciato gli adulti a domandar-si dove sarebbe andato a finire il mondo. I fabbricanti di cosmetici e articoli da toletta cercarono di far fronte alla situazione tirando fuori una schiera di prodotti «naturali» che emanavano profumi di pinete e di erbe. Per un perio-do fu difficile vendere reggiseni perché era richiesto il « Na-tural Look ».
Inoltre le donne presero le armi per combattere il ruolo della massaia-madre affettuosa loro assegnato. A milioni si misero in cerca di posti di lavoro, tra queste anche giova-ni mamme. Fare un bambino, disse una femminista mili-tante, era lo stesso che «cacare una zucca»
Quindi, a dispetto dei modelli sociali usati dai pubblicitari americani dalla metà degli anni cinquanta, a fine anni sessanta la società americana aveva subito nell'assetto psicosociale un cambiamento profondo ma opposto.
Ecco dunque la prima considerazione: furono i consumatori a cambiare modo di fare pubblicità e non la pubblicità ad indirizzare stili di vita.
Proseguendo nello stesso testo, Packard descrive la situazione degli anni ottanta in cui la pubblicità, dopo aver seguito l'onda della contro cultura, si ritrova con un ulteriore rovesciamento nel sentire dei consumatori (da notare come questa tendenza, oggi, si sia completamente capovolta: all'inizio di questo Terzo millennio, i desideri collettivi assomigliano più a scenari di consumo anni cinquanta che anni settanta).
Il fatto che donne sposate incominciassero in massa a la-vorare non fu quel disastro che gli agenti pubblicitari ave-vano previsto. Dalle indagini venne fuori che le mogli che lavorano bevono più birra, comprano più asciugacapelli elettrici, usano più rimedi antiallergici, fumano di più, viag-giano di più e sono meravigliose consumatrici di spuntini veloci, cibi preconfezionati, alimenti in scatola.
(...)
Le idee sul matrimonio e la famiglia hanno assunto del-le tendenze allarmanti dal punto di vista del mercato. La convivenza è diventata cosa di tutti i giorni.
Il rinvio del matrimonio e lo straordinario dilagare di di-vorzi ha fatto si che nascesse il tipo del non accoppiato spre-giudicato, ed anche questo forma un gruppo importante di consumatori di un genere nuovo. Infatti hanno obbligato a lanciare confezioni di surgelati e scatolette più piccole, da una sola porzione, e a ridurre le dimensioni di alcuni mo-delli di apparecchi come frigoriferi e fornelli. Ma, si sco-pre, sono clienti pregiati per bei vestiti, profumi, viaggi, divertimenti e programmi stimolanti in genere.
Nel frattempo lo sviluppo del permissivismo sessuale si è riversato nella pubblicità. Ora alcune stazioni televisive trasmettono annunci commerciali che esortano giovanotti e signorine ad acquistare antifecondativi. E non vi è quasi sera in cui non si vedano belle ragazze che dicono quanto siano comodi i loro assorbenti.
Ed ecco un altro importante elemento di riflessione:
In realtà i pubblicitari non solo non si allarmarono, ma cominciarono ad orientarsi su un punto decisivo per la loro professione. Era meglio seguire il mercato che non inventarlo. E non solo perché si accorsero di poter agire, amplificandole, solo su tendenze già affermate, ma soprattutto perché questo movimento autonomo di mercato era molto più intelligentemente proficuo per loro, molto più efficace della loro più incisiva campagna pubblicitaria concepita "scientificamente". Infatti gli esiti di questa contro-cultura si tradussero in un ampliamento smisurato del mercato. L'ingresso delle donne come consumatrici "pari merito" raddoppiò la vendita di macchine, aumentò il consumo di sigarette, alcolici e quant'altro. Un rinnovato edonismo, una ricerca del piacere, spinse i consumi ad una moltiplicazione strabiliante.
Il fatto di produrre e vendere un gran numero di jeans e magliette a basso costo non fece certo rimpiangere il ben più modesto acquisto di abiti "classici". La libertà sessuale predicata, trasfigurandosi, entrò nelle più becere logiche di mercato; questo permise proprio ai pubblicitari di usare con disinvoltura il corpo della donna e la sessualità in genere come leva per promuovere con successo i consumi, in apparente ed ingannevole sintonia col pensiero della contro-cultura (vedi nota 1).
In seguito, il progressivo ed inarrestabile cambiamento di ruolo della donna fu decisamente più vantaggioso per i consumi. Come avvenne per l'affermazione dello status di single e, più tardi, per lo sdoganamento di modelli di vita omosessuale.
In sintesi, è esplicitamente evidente quanto segue: a) i mass-media cercano ( e non creano!) continuamente delle tendenze "in progressione" che comunque sono già nate (i più bravi riescono ad accorgersene prima.); b) solo successivamente si prestano ad essere una gigantesca leva di diffusione dell' "epidemia sociale" in questione, per dirla con Gladwell (2) (vedi nota 2). Il potere dei media, in questo ambito, è certo.
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Questo ragionamento necessita di essere esteso a tutto ciò che accade nei mass-media per quanto riguarda la manipolazione, l'indirizzo o la creazione di consenso. Forse, se ci limitassimo al solo settore pubblicitario potremmo scandalizzarci, ma non più di tanto, giacché la pubblicità è esplicita nei suoi scopi né tenta di camuffarli: è una attività che fra i suoi intenti espliciti ha quello di far sì che il prodotto nella sua finzione ci inganni realisticamente. Un esempio: se una donna bellissima esce da una autovettura di cui se ne esaltano le forme e l'eleganza, per dinamiche transitive simboliche, la spettatrice può illudersi che acquistando il prodotto acquisterà anche un miglioramento dell'immagine corporea; insomma il pubblicitario è come un illusionista che, pur non facendosi scrupolo di svelarci il trucco, riesce ad ingannarci ugualmente.
Ma altri settori e relativi operatori dei mass-media vengono accusati di perseguire intenti non tanto dissimili dal pubblicitario e, tuttavia, di negare fin'anche la più umana e legittima parzialità. Questo delirio dell'imparzialità (irraggiungibile quasi come la santità) trova poche persone a dichiararsi in maniera onesta. E purtroppo, questa strategia paga. A onor del vero spesso gli stessi operatori sono fatti oggetto di accuse inconsistenti e fin troppo gravi. Ad esempio, si accusano alcuni giornalisti e/o conduttori di programmi di indirizzare l'ascolto verso alcune notizie, fino a renderlo morboso. Così, nel tragico caso di Cogne, fu "accusato" Bruno Vespa di essere il polarizzatore della vicenda a dispetto di notizie di delitti altrettanto gravi o di fatti umanamente ritenibili più importanti, ma lasciati da parte. Niente di più falso. E' stata l'opinione pubblica che ha subito e subisce una specifica, sinistra fascinazione dall'evento.
La mia personale ipotesi è che questo evento più di altri si adattava a rappresentare dei movimenti nuovi nelle dinamiche collettive: lo scontro generazionale, presente da sempre, stava e sta raggiungendo intensità inattese. I genitori cominciano a percepire i figli in età post-adolescenziale come parassiti; i medesimi tendono a percepire i genitori come dei detentori di beni "illegittimi" per la loro età matura: per una sorta di nuovo "diritto naturale" molti giovani sono suggestionati dalla presunzione che in virtù delle loro potenzialità dovrebbero fruire di maggiori risorse, il cui possesso è sterilmente detenuto dai genitori.
A convincermi di questo ci sono tante evidenze, ma una fra tutte fu decisiva:
un giornalista di una importante testata finanziaria venne invitato a partecipare ad un dibattito televisivo sul rapporto tra disagio giovanile e problematiche della famiglia. Avendo egli avuto una particolare esperienza professionale, quella di tenere per il suo giornale finanziario una rubrica su questioni di eredità, chiamato ad esprimersi sul tema del giorno ripescò da quella esperienza un dato illuminante: una parte consistente delle domande e richiesta di chiarimenti giungeva da una fascia di età intorno ai 25 anni!
Di qui l'intuizione alla base di questa ipotesi.
Gli antichi greci andavano ad assistere alle tragedie per arricchirsi di tematiche collettive, per immedesimarsi e fare luce dentro di sé. Il fine di tali rappresentazioni, almeno in parte, era quello di costituire una sorta di "allenamento emotivo" qualora si fossero scontrati personalmente con tali problematiche e non esserne travolti. Allo stesso modo, oggi si scelgono alcuni casi giudiziari che rappresentano travagli collettivi. Gli indici di ascolto dunque derivano da questa loro funzione catartica di riflessione e "allenamento" per non smarrirsi di fronte a scenari emergenti in cui c'è il discreto rischio di trovarsi coinvolti ad un livello più squisitamente personale. Per cui, come tragedie di Sofocle, vengono viste e riviste, pur per tempi più brevi, senza smettere di affascinare.
Si tratta di un principio generale secondo il quale l'indice di ascolto "anomalo" è quasi sempre espressione di bisogni che, giusti o ingiusti, sono comunque bisogni concreti.
Altri conduttori o giornalisti furono accusati di tenere in piedi notizie su ascolti record polarizzando l'attenzione su vicende banali, inconsistenti (vedi il litigio mediatico Lecciso Carrisi). Ma anche in questo caso il fatto risponde bene a rappresentare delle problematiche derivanti da mutati assetti di ruolo nella coppia, che investono a molti livelli il nostro vivere quotidiano.
Così, programmi di intrattenimento ritenuti da folte schiere di critici e spettatori un insieme di cattivo gusto, sadismo a buon mercato e volgarità gratuita, hanno la capacità di fare audience smisurate.
E' da notare che in tutti questi casi, il velo di riprovazione intellettuale che aleggia intorno al programma messo alla berlina, riesce a produrre un certo imbarazzo in molte persone nell'ammettere pubblicamente di essere dei consumatori dell'"empio prodotto". In realtà, si causa il famoso effetto "anti-marketing": vendere di più parlando male.
Eventi che sembrano diventare tali solamente per il fatto che appaiono in tv, possono trasmettere la falsa sensazione che chiunque possa diventare famoso solo con una particolare esposizione televisiva. Ma ripeto: il verdetto degli indici di ascolto dimostra sempre che è stata intercettata l'opinione pubblica in un suo interesse, nobile o ignobile che sia.
Per ultimo, last but not least, un doveroso accenno va al campione assoluto nella "distrazione di massa", il più spudorato ed anomalo: il gioco del Calcio. Il tabù mediatico che ne impedisce la critica, non fa che raddoppiare il sospetto che sia indotto ad arte.
Gli eventi attorno questa disciplina sportiva che, per lo spettatore dovrebbe rappresentare un divertente passatempo ma niente di più, riescono a suscitare moti emozionali di intensità smisuratamente incomprensibile. Molte persone, per radio, per televisione, sui giornali, si allarmano, si disperano, si rallegrano; milioni di individui così emotivamente coinvolti, usano la loro intelligenza per fornire spiegazioni, costruire ipotesi, tenere a mente molte informazioni, senza che tutto ciò restituisca loro qualcosa di consistente nella loro vita reale (3) (vedi nota 3). In particolar modo, non cessano mai di stupirmi, quelle persone che chiamano nel corso dei tantissimi programmi radiofonici sportivi, totalmente monopolizzati dal discorso calcio, e che talora lasciano emergere nel discorso le proprie situazioni economico/sociali difficili, a volte molto difficili. Ciò che mi sorprende è l'esagerata indignazione o euforia, a seconda che la loro squadra abbia superato o meno gli avversari sportivi, ben sapendo che nulla nel loro problematico quotidiano cambierà.
Tali emozioni non possono non rivelarsi illusorie: l'impatto emotivo del risultato sportivo riesce a condurre il soggetto ad una tale distanza dai piani di realtà fino a sostituirla. Il tifoso è disperato. Ma non lo è perché vive in situazioni precarie, perché ha i figli disoccupati o perché spreca molta parte della sua vita nel traffico. La disperazione che lo muove a fargli fare un gesto di partecipata pubblica protesta, chiamare ad esempio una radio per esprimere il suo dissenso, è piuttosto un calcio di rigore negato alla sua squadra.
In tutto questo, si potrebbe scorgere (non senza una piccola dose di atteggiamento paranoico) la convenienza da parte di non meglio definibili "Poteri Forti": creare e promuovere un ascolto massiccio e narcotizzante su questioni inutili.
Innegabilmente l'enorme incidenza del calcio nell'ambito politico/sociale sembrerebbe indirizzarci a considerazioni di tal genere. Un'attivazione così intensa a livello emozionale e così sproporzionata, potrebbe distogliere larghe fasce di popolazione da una maggiore presa di coscienza politico/sociale, sottraendo energie psichiche all'analisi dei loro problemi reali e pertanto rendendole non reattive e, dunque, più facilmente manipolabili.
Ma questo accenno sarebbe inutile se servisse solo a sostituire il detto marxiano "la religione è l'oppio dei popoli" con il più attuale " i mass-media sono l'oppio dei popoli".
In realtà l'obiettivo è quello di capovolgere almeno in parte i termini della questione, per fornire una teoria, o meglio un'ipotesi, in cui l'orientamento dei media non sarebbe null'altro che l'espressione di esigenze maturate dalle masse e, dunque, che il successo nei mass media è determinato dal ben rappresentare tali esigenze.
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L' ipotesi di questo scritto ruota intorno all'esistenza di una struttura neuronale, con funzioni non percepite coscientemente, che ebbe un'evoluzione parallela ma totalmente oscurata dall'evoluzione intellettiva. Questa struttura, presente in ogni individuo, è in grado di agire potentemente a livello di singoli, omogeneizzando e sincronizzando tendenze e stati d'animo che si manifestano come fenomeni di massa. La produzione di ondate emozionali, negazioni o focalizzazioni estreme collettive su eventi che si prestano a rappresentare problematiche psicosociali di massa, spiega perché l'analisi dell'impatto di tali eventi sul singolo non può restituire nulla che non si mostri inconsistente. Al contrario, nella logica dell'ipotesi del testo, emerge una coerenza e una netta ragione d'essere di tali ondate emozionali collettive potenti ed inattese.
Il lettore mi scuserà se il discorso partirà da così lontano, tuttavia è necessario ripercorrere a grandi passi la filogenesi della formazione evolutiva del Sistema Nervoso Centrale dell'Homo sapiens sapiens, senza peraltro coglierne l'essenza.
Infatti, nel leggere in generale tutta la storia dell'evoluzione delle specie si ha l'impressione che vi sia un intento, una spinta generale, presente fin dalle forme di vita più antiche e che ancor oggi sembra essere il mistero biologico più importante e decisamente ancor più imperscrutabile della stessa nascita della vita.
Dunque non è dunque tanto sorprendente che alcuni composti inorganici abbiano avuto modo di passare da uno stato inorganico ad uno organico (in poche parole, la comparsa della vita). Ma è assolutamente stupefacente come ogni forma di vita, perfino una catena d'amminoacidi con qualche frammento di DNA formatasi per caso, si dimostri già "animata" e spinta da un preciso e ostinato intento a sopravvivere, a moltiplicarsi e mutare se necessario.
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