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PSYCHOMEDIA
COMUNITÀ TERAPEUTICHE
CT Salute Mentale



Giornate di studio su: comunità terapeutiche per adolescenti

Mestre 15/16 Novembre 2002

di Claudio Bencivenga*



L’adolescenza si caratterizza com’è noto come un periodo di crisi più o meno prolungata per le pulsioni, trasformazioni, gli alti e i bassi tipici della metamorfosi puberale; ciò del resto è da considerarsi sostanzialmente fisiologico. Tuttavia esistono situazioni in cui gli aspetti critici assumono una rilevanza ed una ripetitività tali da farli fuoriuscire dal normale, se pur turbolento, percorso di sviluppo, assumendo così forme marcatamente patologiche. Infatti, la gran parte delle difficoltà che man mano s’incontrano nella transizione adolescenziale possono essere superate in modo costruttivo, quelle che invece restano non adeguatamente affrontate e risolte lasciano aperti problemi di tipo intrapsichico, interpersonale e d’inserimento sociale talvolta particolarmente gravi. E’ necessario in questi casi che vengano predisposti interventi terapeutici diversamente modulati per contenere e rispondere in maniera puntuale all’eterogeneità dei fabbisogni di questa fascia d’utenza “che presenterà o non presenterà in età adulta forme psicopatologiche più evidenti e conclamate a secondo di quanto, come e quando sarà stata ben seguita” (D.P.R..10/11/99).

L’obiettivo primario delle due giornate di studio organizzate dalla Cooperativa Codess Sociale e svoltesi a Mestre il 15-16 Novembre 2002, è stato quello di riflettere su alcuni nodi cruciali del trattamento comunitario: quando esso è indicato, quali sono le variabili che entrano in gioco e che finiscono per avere una valenza terapeutica, come affrontare – con quali strategie, con quali alternative – il nodo cruciale della dimissione e quali fattori fungano da spinta propulsiva o al contrario provochino una stagnazione del processo terapeutico.


Come premessa va ricordato che la Comunità Terapeutica è una piccola struttura a dimensione familiare nella quale vengono svolti interventi specialistici e dove l’abitare diventa esso stesso elemento di terapia, dove le dimensioni della domesticità e della quotidianità rappresentano lo sfondo e il contenitore ove si stabiliscono rapporti interpersonali significativi e dove si ripropongono in maniera più funzionale codici e funzioni di comunicazione familiare.
Attraverso la ripetizione quotidiana di eventi strutturati, di setting e di attività predisposte dal programma, come anche mediante il ripetersi d’interazioni interpersonali reciproche si crea ciò che si può definire un “ frame parentale “ cioè quella cornice di significati e di azioni che, dapprima esterna, si trasforma per diventare una cornice interiorizzata di riferimento in grado di strutturare e organizzare le parti scisse e frammentate dei pazienti.
La Comunità pertanto costituisce quell’ambiente terapeutico capace di offrire lo spazio e il tempo necessari per riparare e rimettere in moto un’evoluzione che per una serie di molteplici fattori si è arrestata. Contemporaneamente svolge quell'opera di ponte e collegamento con gli altri contesti di vita e di cura dell'utente; in tal senso essa si pone come “agente di mediazione” dei diversi sistemi che compongono la configurazione più immediatamente coinvolta del "processo morboso": mediazione tra i sottosistemi individuali, familiari e sociali. In ambito comunitario lavorando sui collegamenti tra le reti, viene favorita e mantenuta l'apertura dei diversi canali comunicativi, facilitando e stimolando così quel "dialogo" fra utente e varie parti del sistema che altrimenti finirebbe per interrompersi.
La tipologia dunque di utenza che afferisce ad una Comunità Terapeutica per adolescenti è costituita da ragazzi con disturbi psicopatologici importanti e/o con grave disagio socio-familiare le cui condizioni ne compromettono la permanenza nel contesto familiare; nonché da quei soggetti che sono entrati nel circuito giudiziario ma che sottendono situazioni di psicopatologia.

Il momento della residenzialità permette infatti di:

&Mac183; attuare interventi precoci attraverso una presa in carico strutturata nonché di contenere e ridurre evoluzioni più gravemente disabilitanti.
&Mac183; decomprimere momenti di alta tensione familiare che innescano circuiti riverberanti di disagio.
&Mac183; far usufruire di un ambiente idoneo alla sperimentazione e allo sviluppo di positive situazioni di vita e di relazione, all’interno di un’assistenza globale che tenga conto sia dello spettro delle problematiche sanitarie sia dei bisogni socio-educativi.
&Mac183; avere quel tempo necessario per ricostituire e organizzare attraverso una razionale sequenza di interventi, quella rete di supporto territoriale costituita dai diversi servizi (Istituzioni educative e scolastiche, Servizi Sociali, Dipartimento Materno Infantile, Agenzie di socializzazione, ecc.)

Perché una Struttura di questo genere mantenga una valenza terapeutica è necessario che la molteplicità e la multidimensionalità degli interventi, che si effettuano al suo interno, siano collocati armoniosamente in un clima di domesticità in una sorta d’insieme gestaltico non frammentato e spezzettato.
E’utile a questo proposito rammentare che da una serie di ricerche è risultato che uno degli elementi terapeutici del trattamento comunitario è costituito da un “fattore aspecifico”: “il clima”, cioè quell’”atmosfera”, quella sorta di “suono di fondo” venutosi a creare dalle relazioni tra operatori e operatori, operatori e pazienti, pazienti e pazienti sulle quali si muovono e si svolgono le varie attività.
Perché una Struttura come una Comunità rimanga un luogo “vivo” un apparato affettivo e nutritivo per ospiti e curanti è necessario che venga mantenuta una riflessione continua e costante su quello che sta succedendo; lo spazio comunitario deve essere uno spazio dove è accolto il pensiero dove “il fare” e le varie attività non sono una mera ripetizione di azioni svuotate di significato rese inerti da una sterile routine, ma dove la capacità di riflettere, di dare e cercare significati rende l’istituzione un posto dinamico ove circolino elementi vitali, maturativi ed emancipativi.
A garanzia di tutto questo è auspicabile per coloro che si accingono ad operare nelle Comunità, oltre alla formazione di base un’ulteriore formazione specifica possibilmente con un tirocinio pratico sul campo. Per chi già lavora è indispensabile l’aggiornamento periodico sia di tipo seminariale (giornate di studio, convegni) che clinico come l’usufruire di una supervisione esterna.
La Comunità terapeutica, infatti, offre una realtà clinica complessa che richiede una serie di competenze:
innanzitutto la capacità di leggere i vari comportamenti di questa tipologia di utenza, spesso comunicati attraverso un linguaggio primario, fatto di agiti dei quali è importante cogliere il significato per poterne restituire il senso; la capacità di prendersi carico globalmente dell’assistito allorchè regredito e svolgere quella funzione terapeutica genitoriale di “maternage” per ricostruire passo dopo passo le varie tappe evolutive; ancora, il saper vivere e condividere con lo stesso gli aspetti della quotidianità mantenendo un’interlocutorialità terapeutica; il lavorare in équipe con altre figure professionali; avere un’ottica olistica in grado di cogliere le potenzialità terapeutiche dell’uso in uno stesso contesto di modelli e orientamenti diversi opportunamente integrati - arteterapia, ergoterapia, interventi individuali e di gruppo, approccio sistemico relazionale - dove gli aspetti assistenziali, psicoterapeutici, riabilitativi, farmacologici e di sostegno sono strettamente interconnessi fra loro; essere in grado di “reggere” e “contenere” le complesse relazioni che i pazienti con nuclei psicotici propongono, quali le dinamiche simbiotiche, fusionali, rifiutanti, distruttive, che attivano fortissimi vissuti controtransferali.

Per concludere è necessario che iniziative come il Convegno di Mestre si ripetano e come occasione di formazione e per creare e diffondere una Cultura della Comunità Terapeutica dove l’aspetto della residenzialità diventa una possibile (a volte necessaria) opzione d’intervento. In questo settore, infatti, anche a causa dell’esasperazione dell’ideologia anti-istituzionale degli anni ’70, la programmazione sanitaria italiana è ancora particolarmente carente lasciando spazio ad una supplenza di tipo socio-assistenziale con una mission rivolta prevalentemente a rispondere a bisogni scaturenti da marginalità e da devianza sociale il cui intervento non è adeguato né attrezzato per affrontare problematiche di tipo psichiatrico.
La Cooperativa Codess Sociale, promotrice di queste due giornate, che hanno visto impegnati relatori di fama nazionale ed internazionale, occupandosi di progettazione, organizzazione e gestione di strutture residenziali rappresenta oggi, sul territorio nazionale, una realtà significativa avendo Comunità nel Veneto, in Emilia Romagna, nelle Marche, e presto anche nel Lazio ed in Campania.


Bibliografia

Bencivenga. ‘Psicologia delle comunità. In: La professione di psicologo Giornale dell’Ordine Nazionale degli Psicologi –7/1 luglio 2000.

Bencivenga. Problematiche delle Comunità psichiatriche. In: “Prospettive Sociali e Sanitarie”, anno XXXII n.11, 15 giugno 2002.

De Luca (1998). La costruzione delle domande nel processo di valutazione dei servizi di salute mentale. In: Ferrata, Foresti, Pedriali, Vigorelli (a cura di) La Comunità Terapeutica tra mito e realtà. (pp. 497-516) Milano, Raffaello Cortina

Kaye (1989). La vita mentale e sociale del bambino. Roma, Il Pensiero Scientifico.

Sicaro, Goldschmidt (1997). Valutazione degli esiti del trattamento comunitario. In: Spinelli, Zamporri Comunità Terapeutiche in Psichiatria (pp.53-63) Milano, Nova Ars Libraria



* Docente di Psicologia dello Sviluppo - Corso di Laurea in Servizio Sociale
Università degli Studi di Parma.
Vicepresidente ATiC Associazione Italiana per la Terapia di Comunità


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