Introduzione di Ermete Ronchi Il lavoro qui presentato costituisce la prima parte di un seminario - inedito - che aveva per titolo "Psicosocioanalisi - Fondamenti uno", un seminario che ha dato lavvio al percorso formativo "di base" della Scuola Italiana di formazione in psicosocioanalisi (1989-90). A quel tempo questo tipo di percorso era strutturato con giornate seminariali che, dopo aver ripercorso i "fondamenti del sapere psicoanalitico" (psicoanalisi e gruppoanalisi), poneva l'accento sulle professioni ad approccio psicosocioanalitico (psicoterapia, consulenza al ruolo, intervento nell'istituzione, formazione, managerialità) e si sviluppava poi sui temi della progettualità, dell'auto-apprendimento e della formazione permanente. Per delineare meglio il contesto di questo seminario che inaugurava formalmente il percorso di quell'anno, ma anche per inquadrare meglio l'approccio psicosocioanalitico in ambito formativo, va detto che, parallelamente ai momenti seminariali, si sviluppavano - interattivamente - altre due attività. Un'attività con focus sulle dimensione gruppale, i laboratori di analisi dei casi, e una riguardante il counseling attraverso il quale ciascun allievo aveva l'opportunità di rivisitare, in contesto duale, gli aspetti pragmatici del proprio apprendimento. Seminari a tema, gruppi in assetto di laboratorio e conseling costituivano una rete concettuale ed emotiva che sollecitava i partecipanti a far interagire le conoscenze che, ricorsivamente, andavano attivandosi. Per questa ragione i seminari non si ponevano l'obiettivo di saturare un certo argomento ma di aprire il campo a nuova pensabilità che avrebbe poi trovato spazi di rivisitazione e approfondimento in vari nodi della rete. In quell'anno, in quanto responsabile della formazione di base di Ariele, avevo il compito di affiancare la docenza e di tessere ponti tra un evento didattico e il successivo. Il seminario qui riportato, primo di una serie, si é svolto a Milano l'1 dicembre 1989 aveva in particolare l'obbiettivo di aprire un discorso che consentisse di sviluppare un approccio clinico a 360°. La presente trascrizione - da me successivamente curata - ha utilizzato la registrazione dellincontro integrata con appunti personali laddove - caso purtroppo non infrequente - l'audio è risultato poco chiaro. Anche così ho dovuto lasciare qualche lieve salto nel testo, in particolare nelle parti dialogate, là dove a tratti la registrazione era incomprensibile. Una bozza di questa trascrizione era stata successivamente rivista da L. Pagliarani il quale me la restituì con laggiunta dei tre allegati riportati a fine testo. Ho volutamente mantenuto lo stile colloquiale della comunicazione verbale. I titoli e i sottotitoli dei paragrafi sono stati da me aggiunti in sede di definitiva messa a punto del lavoro per poter creare una sorta di sommario dei contenuti toccati. Dopo una lettura sequenziale del testo è così possibile ritrovare agilmente i punti essenziali e, se interessa, approfondirli in ipertesto. Ricordo quindi che si tratta di un lavoro di inquadramento di tipo storico, frutto delle riflessioni e della ricerca degli anni '80; un lavoro che consente di cogliere le premesse da cui sono scaturiti gli sviluppi della ricerca psicosocioanalitica attuale. Una sintesi degli approdi della ricerca del successivo decennio è contenuta nel testo di Annamaria Burlini e Aurelia Galletti "Psicoterapia attuale. Nodi di una rete emotiva e cognitiva tra individuo, gruppo e istituzioni", in corso di pubblicazione presso F. Angeli, Milano; si tratta di un lavoro che offre una ri-visitazione della teoria e della teoria della tecnica psicoanalitiche e psico-socio-analitiche in funzione di un loro utilizzo in una pluralità di contesti. Il materiale che segue è stato organizzato in tre parti. Parte prima:
Parte seconda:
Parte terza:
(E. Ronchi, settembre 1999)
N'es tu pas notre géometrie, fenêtre, trés simple forme qui sans effort circonscris notre vie énorme? [Rilke] (1) Oltre che "i fondamenti" forse la parola più giusta è "i sentimenti". E lo pensavo proprio venendo qui. Non so se voi avete mai sentito parlare di Groddek, l'autore de "Il libro dell'Es". Groddek era uno psichiatra ungherese. Imbattutosi nella psicoanalisi (Groddek era un irregolare piuttosto genialoide, che diventerà poi molto amico di Ferenczi), di fronte all' ortodossia vigente e anche alla rigidità di formazione nell'ambito della società di psicoanalisi, non sapeva se si poteva ritenere psicoanalista. E Freud in una lettera lo rassicura, dicendogli (cito a memoria): " Lei ha capito quello che c'é di fondamentale nella psicoanalisi, cioè: il transfert e la difesa". Questo é il nucleo. A me Groddek è particolarmente simpatico perché non era un bigotto della psicoanalisi, non era un dogmatico e faceva il suo lavoro con grande passione. Tra l'altro, penso anticipando tutta la teorizzazione successiva sul controtransfert, Groddek, quando nella sua clinica qualcuno dei suoi pazienti peggiorava, si chiedeva dove lui avesse sbagliato. Per cui, di fronte all'aggravarsi della malattia dell'altro, prima di tutto cercava di vedere se non dipendesse da lui. Mi piace anche perché diceva - alludendo ai dogmatici, ai rigidi - "in genere gli psicoanalisti hanno poco comprendonio: non ridono mai". Lui, al contrario, aveva il senso dell'umorismo (2) . Sicché comincio proprio dalla difesa.
Direi che ansie e difese costituiscono il concetto basilare. Il numero uno. Il traffico delle emozioni, nei vari rapporti che siamo chiamati a vivere, può appunto generare degli stati d'ansia. E qui si rende opportuna una distinzione. Spesso si fa tutt'uno dell'ansia e dell'emozione, di un certo tipo di emozione. Ora, in realtà, quando noi parliamo di ansia intendiamo delle emozioni che non sono facilmente sopportabili o addirittura che sono insopportabili. E' lì che subentra l'ansia. In genere quando io propongo questa distinzione si pensa subito che le emozioni insopportabili generanti ansia siano emozioni insorgenti da esperienze, contatti, vicende dolorose. Per esempio, di notte cammino e vengo assalito da un rapinatore: ecco un emozione che può generare uno stato d'angoscia. Ci sono anche le emozioni invece, non meno insopportabili, che possono derivare da altro. Faccio un esempio soltanto. A me è capitato in più di una circostanza di avere come pazienti delle donne che avevano deciso si sottoporsi ad un trattamento psicoanalitico perché erano frigide. Ora in questi casi via via si scopre che non era un disturbo né organico, né costituzionale. Al contrario, la frigidità era una difesa dall'insopportabilità delle emozioni da orgasmo, che è qualcosa tutt'altro che di doloroso e di disgustoso. Allo stesso tempo va pure precisato che la difesa in sé non è necessariamente negativa. Anzi se noi non avessimo un apparato di difesa sarebbe un bel guaio. I vestiti che portiamo sono una difesa, oltre poi ai significati d'altra natura che possono assumere. Certo che se portiamo cappotto e sciarpa sotto il solleone, la difesa è esagerata, sproporzionata, segno di un disturbo. Lo stesso si può dire per le difese di ordine psichico. E' questione di misura, proprio quanto più ci sono delle angosce in gioco. Insomma, in sé la difesa è fisiologica, o non necessariamente patologica. A questo proposito se volete approfondire c'è il testo classico della figlia di Freud sull'Io e i meccanismi di difesa (3), dove i vari modi e stili di difesa vengono illustrati. La difesa - l'avete capito - assume invece una rilevanza patologica, malata, quando è eccessiva, é sproporzionata. Il traffico, oggi come oggi soprattutto, è un problema; c'è il rischio, se non stiamo attenti, di finire sotto una macchina. Di qui, quanto più siamo prudenti per la strada o da pedoni o anche da guidatori di macchina, meglio è. Anzi spesso certi incidenti capitano per l'avventatezza o del pedone che passa col rosso oppure del guidatore che se ne fotte del codice della strada. Altro è il caso del Tizio che non riesce più ad uscire di casa, preso com'è da agorafobia, perché fuori c'è un pericolo generante un'angoscia intollerabile. Ecco, questa è una difesa patologica.
3. Ansia individuale e ansia di gruppo Questo ci interessa in relazione a un meccanismo di difesa che non è inserito nell'elenco proposto e studiato da Anna Freud. Voi tutti, da quel che ho sentito, lavorate in collettività, nelle istituzioni. In una società di selezione piuttosto che in un'azienda, piuttosto che in un centro di rieducazione, o in un servizio sociale o sanitario etc. Ora queste istituzioni nascono - basterebbe guardare il loro statuto, gli atti di fondazione - prefiggendosi degli obiettivi. Quindi quanto più adempiono agli scopi per cui queste istituzioni sono nate tanto più sono coerenti, adempienti alle loro funzioni, privata, sociale, politica. Se non che, che cosa succede? Nell'intrico delle relazioni - soprattutto oggi abbiamo sempre più a che fare con delle istituzioni complesse - ad un certo punto in una scuola nella quale si era insegnato fino ad allora ad esempio il tedesco, viene un'ordinanza, una circolare, comunque una disposizione per cui il tedesco non lo si deve insegnare più. E questo è un momento di crisi che crea un problema che dovrà essere stato affrontato poniamo dal gruppo dei docenti (5). Ma questo è ancora niente. La dinamica gruppale ed istituzionale effettiva che si innesca ci mostra che quanto più i problemi di relazione tra le persone implicate in quel lavoro, e di relazione col lavoro stesso, suscitano delle emozioni forti fino al punto di intollerabilità, tanto più subentra l'angoscia. Fate un confronto fra un compito che vi è stato dato o che vi siete assunto o che avete addirittura proposto voi, che vi appassiona anche, ma che incute anche il timore, la paura che se non è fatto in un certo modo perdete la faccia, sfigurate, e potrete osservare allora che il livello d'ansia che c'é relativamente all'esecuzione di questo compito è ovviamente maggiore rispetto all'esecuzione di un compito che non implichi il rischio di perdere la faccia con tutta la gloria che ne potrebbe anche derivare se la cosa va bene. Nel passaggio dalla situazione individuale a quella gruppale, emerge poi un intrico di emozioni di varia natura che non si vede, che non è visibile ma che attraversa le coscienze, i cuori, i fegati; allora, ci possono essere momenti in cui questo intrico emozionale raggiunge un'intensità per cui si scatena un'ansia da insopportazione ed è persino difficile riuscire a comprendere quello che sta succedendo.
4. Listituzione come meccanismo di difesa Allora l'istituzione viene usata come meccanismo di difesa. Quello che ho detto fino a un momento fa, prima di parlarvi dell'effetto gruppo e dell'istituzione, è psicoanalisi corrente. Quello che ho cercato di precisarvi a proposito dell'istituzione è il plus che offre la psico-socio analisi. Il concetto base su cui è fondata questa disciplina, è nient'altro che: le istituzioni, possono essere usate, oltre che per l'adempimento degli obiettivi per cui nascono, anche per difendersi dalle ansie. Questa nozione l'ho imparata la prima volta leggendo Elliot Jaques; in realtà questo concetto gli veniva da Melitta Schmiedeberg, che è la figlia di Melanie Klein. Non so se voi conoscete le vicende di questa famiglia. Ad un certo punto nasce un dissidio tremendo tra figlia e madre per cui rompono i rapporti. La figlia poi ha abbandonato, credo in conseguenza di questo urto tremendo, drammatico, tragico, anche la psicoanalisi. Però la sua scoperta resta . - Partecipante: Io non ho capito come un'istituzione può diventare un meccanismo, mi viene più facile capire il contrario, un meccanismo attorno al quale si può scatenare dell'aggressività, ma non che io prendo come un qualche cosa che mi difende. - Pagliarani: Vi faccio un esempio. Un'istituzione di cui ho sufficiente esperienza sono le USSL. E le USSL - riforma sanitaria alla mano - sappiamo tutti a che cosa dovrebbero servire. Sappiamo anche per esperienza, positiva o negativa a seconda dei casi, che alcune USSL funzionano e altre no. Per cui per avere una visita o un certificato bisogna dannarsi; oppure andare in una USSL è un casino. Però ci sono anche altre USSL. Per capire la differenza mi son chiesto: cos'é che fa sì che una USSL funzioni - la legge è la stessa - e un'altra USSL sia un caos. Andiamo dentro a vedere. Per esempio l'USSL che non funziona ha un'equipe, un coordinatore, uno psichiatra, un medico, l'assistente sociale etc. ed é dilaniata da anni da un conflitto interno tra conservatori e innovatori. Ci sono i conservatori che sono lì ligi, a disposizione di una prassi più o meno acquisita da anni, e altri che dicono, no, non si fa così perché il mondo è cambiato e altre cose simili. Solo che a distanza di un anno, di due anni, un osservatore può notare che le cose restano sempre così, non migliorano. Gli operatori continuano a rimproverarsi vicendevolmente il cattivo funzionamento "per colpa di voi conservatori", o "per colpa di voi sinistroidi, progressisti". In realtà i compiti che sono chiamati a svolgere generano delle inquietudini, delle ansie, per paura di non farcela, nel sentirsi inadeguati; per cui questa battaglia che apparentemente mostra due posizioni opposte, in realtà rivela che tutte e due colludono - inconsciamente - in modo difensivo per non affrontare la realtà dei problemi e delle decisioni di cui avrebbero la responsabilità. Se vado invece nell'altra USSL - la funzionante - trovo che presenta anche questa dei bei problemi, perché ci sono i ruoli più diversi, non è facile il loro coordinamento, ci può essere uno stesso paziente che, a seconda dei disturbi che presenta, è paziente del medico ma anche paziente dello psicoterapeuta e magari ha anche bisogno di farmaci o di un servizio sociale. E l'ideale sarebbe che queste varie prestazioni di ruoli e di persone diverse siano possibilmente tra loro coordinate e non in contrasto. Quando si riuniscono succede che quanto più uno è padrone della propria disciplina e della propria materia e quindi è geloso della propria autonomia, tanto più tende a non considerare il punto di vista dell'assistente sociale, se quello é ad esempio lo psichiatra, o viceversa. Però che cosa succede? Capita che si riuniscono, si rendono conto che c'è una conflittualità che potrebbe essere risolta ma che non viene affrontata, sicché - responsabilmente - chiedono un intervento dall'esterno per uscire da questo impasse. Si interrogano su questo stato di cose e si mettono loro in crisi. Ecco, questa è la differenza; proprio perché l'obiettivo per cui quell'istituzione esiste, e le prestazioni di ruolo che dovrebbero dare in virtù dell'assunzione e anche dello stipendio che si prendono, sono sentiti molto responsabilmente. C'è difficoltà sia qua che là. Nel primo caso c'è un uso difensivo delle problematiche insorgenti, nellaltro invece i problemi, le difficoltà, vengono affrontate realisticamente. Lei con la sua domanda mi offre l'occasione per dire che proprio il modo con cui ogni istituzione affronta le proprie difficoltà è uno dei criteri diagnostici di una situazione istituzionale e sociale. Quando c'è una situazione che viene denunciata per la sua patologia, per la sua scorrettezza, perché non funziona, da anni, e non si è fatto niente per uscirne, qui abbiamo la prova che c'è una collusione tra gli opposti; contendenti sì, ma inconsciamente consenzienti nell'uso difensivo dell'istituzione in toto e dei singoli ruoli da parte delle persone che li rivestono. Per esempio l'azienda Italia la conosciamo tutti. Credo che tutti siamo rimasti stupiti dai recenti risultati delle elezioni di Roma, questa città invivibile (1989). E poi guarda che barca di voti che si è presa la DC. Allora non c'è solo la DC che fa la politica che gli pare ma, evidentemente, lo stesso italiano, l'elettore che si lamenta di questo schifo, che impreca " la politica è solo m..." ecc., per varie paure di cui sarà più o meno consapevole, sta di fatto che collude con lo stesso potere che denuncia come schifoso. Addirittura è diventato un argomento di persuasione propagandistica. Cosa ha detto quel cardinale, di cui ha parlato la stampa : "E' vero, quel partito vi può ripugnare, ma votatelo ugualmente". E così è. Per cui c'è una ripugnanza ma che non è sufficiente a superare il mio bisogno di difendermi da chissà quale pericolo, se per caso il governo della città di Roma dovesse cambiare. La sua richiesta mi permette di precisare anche un'altra cosa. Quando parliamo di angosce, queste possono essere le più diverse. Dipende da quello che sta succedendo, dal tipo di rapporto, dall'età della persona, dal lavoro che fa, dall'ambiente in cui vive, dalla storia che ha avuto; ognuna di queste ansie può avere benissimo la sua etichetta, ma se andiamo in profondità si scopre qualcosa di grande interesse. Quel che sto per dire ci viene da uno psicoanalista particolare. Si chiama Enrique Pichon Riviére e nonostante il cognome francesizzante - è nato a Ginevra - è vissuto e cresciuto in Argentina, creando una scuola di grande rilievo e che solo da poco comincia ad essere considerata in Europa. Noi siamo sotto la sudditanza culturale, nell'ambito della psicoanalisi, del mondo anglosassone e siamo portati ad ignorare quanto di buono e alle volte di geniale viene prodotto per esempio in America Latina. Non so quante volte avete sentito parlare di Pichon Riviére, forse mai, mentre invece se vi faccio il nome di alcuni psicoanalisti inglesi sicuramente li avete sentiti nominare. Ora la sua scoperta (e curiosamente questa scoperta gli viene dall'essersi simultaneamente dedicato ad aspetti di sofferenza non solo individuali ma anche sociali) lo porta a recuperare un assunto originario di Freud.
5. Depressione individuale, gruppale e istituzionale Freud diceva che la psicologia è psicologia sociale comunque , proprio perché in quanto individui siamo comunque parte di una rete di relazioni sociali. Solo che, piano piano, questo aspetto sociale è stato sempre più trascurato dalla prassi e dalla ricerca psicoanalitica ufficiale. Pichon Riviére, in virtù di questo - tra l'altro é un autore che ha scritto pochissimo e quelle cose che ha scritto non danno la profondità del suo pensiero, della sua prassi perché spesso non sono altro che trascrizioni, appunti di lezioni, che lui teneva, presi da allievi (6), e comunque i toni e i sentimenti e il modo di lavorare di Pichon Riviére di lì non viene fuori, - arriva a sostenere che la malattia, e se volete la malattia mentale, é fondamentalmente la depressione. Cioè questo senso di vuoto, di annichilimento o della vita o della propria persona; e quindi è questa l'angoscia, variamente manifestantesi nella sua fenomenologia, che sta comunque alla base della sofferenza. La depressione: malattia unica, da cui ci si difende. Allora, aggiungo io, non è altro che l'applicazione di quello che vi ho appena detto: così come esiste una depressione personale, individuale, esiste anche una depressione gruppale, istituzionale e sociale. Per esempio - lo dico a titolo di ipotesi e perché voi possiate capire i concetti - non sono sicuro che sia così perché un'indagine ad hoc non l'ho fatta - questa paura per cui si continua a votare DC nonostante le sue quarantennali nefandezze (o, per essere meno drastici, chiamiamole inadempienze) potrebbe essere a difesa da un'angoscia di depressione. E' vero, sì, non ci danno quello che ci hanno promesso di dare, quello che sarebbe bene ci dessero, e per di più in nome di Cristo, ma se crolla questa cosa qui, che cosa può succedere? Dove andiamo a finire? Non a caso la paura del comunismo è stata sempre utilizzata dalla DC; potrei dire anche con ragione se pensiamo che cos'era lo stalinismo. Ma oggi credo che comincino a preoccuparsi perché con quel popo' di rivolgimento che c'è all'Est - mai stato accolto in occidente un russo, e per di più bolscevico, come viene applaudito Gorbaciov - forse da quando questa paura non ha più quel peso che ha avuto fino all'altro giorno, può darsi che il voto difensivo venga dimesso e che questa istituzione si dissolva (e De Mita si sta già preoccupando di questo, il suo ultimo discorso lo dice chiaramente). - Pagliarani: Per caso, nel precedente seminario di accoglimento vi è stata presentata la "finestra" psico-socioanalitica? (Vedasi anche "Presentazione dell'area", "La finestra psocosocioanalitica") - Partecipanti: Sì siamo partiti da lì. - Pagliarani: Vorrei fare una domanda: lei usa il termine ansia, angoscia con lo stesso significato?
NOTE:
|