Jay Greenberg, che fu stretto amico di Steve Mitchell (con cui nel 1983 scrisse anche il libro
Le relazioni oggettuali nella teoria psicoanalitica, Bologna: Il Mulino, 1986), qui ricorda la sua figura umana e professionale. Mitchell, nato nel 1946 e deceduto prematuramente il 21-12-2000 nel pieno delle sue prolifiche attività (tra le altre cose, stava fondando una "Associazione internazionale di psicoanalisi e psicoterapia relazionale", di cui avrebbe dovuto essere il primo presidente), era probabilmente uno degli analisti più noti e influenti nella scena psicoanalitica non solo nordamericana ma anche internazionale, e principale portavoce della cosiddetta psicoanalisi relazionale, che nei tempi recenti ha tanto influenzato anche la psicoanalisi tradizionale. Formatosi al
William Alanson White Insitute, il noto istituto psicoanalitico newyorchese di matrice sullivaniana, contribuì ad elaborare l'indirizzo interpersonale di Sullivan integrandolo con la scuola inglese delle relazioni oggettuali (Melanie Klein, Fairbairn, Guntrip, Winnicott, ecc.), e cercando costruire una nuova teoria per la psicanalisi che rimanesse fedele alla tradizione interpersonale americana senza nel contempo perdere gli importanti contributi di altre scuole e idee (per un approfondimento sulla differenza tra i termini "interpersonale" e "relazionale", vedi, sempre su
Contemporary Psychoanalysis, la "lettera al direttore" dello stesso Mitchell sul n. 2/1999, e la breve comunicazione di Mauricio Cortina sul n. 1/2000, segnalate anche su
Psicoterapia e scienze
umane, n. 4/1999 e n. 3/2001). Compreso il primo libro già citato scritto con Greenberg (libro, tra l'altro, utilizzato nei corsi di laurea in Psicologia di varie università italiane), fu autore di otto libri, quasi tutti tradotti in italiano (uno scritto assieme alla moglie Margaret Black), e l'ultimo, in corso di stampa, sulla tematica dell'amore
(Can Love Last? The Fate of Romance Over Time). Nel 1991 fondò la rivista
Psychoanalytic Dialogues, che subito si impose all'attenzione della comunità psicoanalitica mondiale, e che riflette anche nello stile l'approccio "relazionale" di Mitchell: ogni articolo viene visto da più prospettive, con discussione critiche di vari autori (e fu questo aspetto forse quello che rappresentò una delle ragioni della grande e immediata diffusione di questa rivista). Greenberg si sofferma molto anche sulla personalità del compianto amico Mitchell, capace di trasmettere entusiasmo e amore per le cose di cui discuteva, e sulla sua grande capacità di affascinare l'uditorio durante i suoi seminari. Steve Mitchell era molto conosciuto anche in Italia, essendo venuto a tenere molti seminari. E' presto per dare un giudizio sulla importanza delle idee di Mitchell per la psicoanalisi contemporanea, dato che è ancora troppo vicino a noi e il dibattito è tuttora molto vivo. Può essere utile segnalare, a questo riguardo, il
target paper (cioè l'articolo bersaglio) che lo stesso Greenberg è stato invitato a pubblicare sull'ultimo numero del
Journal of the American Psychoanalytic Association (2/2001), intitolato "The analyst's participation: a new look", in cui si propone di fare un bilancio critico di certi aspetti della psicoanalisi relazionale, affrontando di petto alcune questioni centrali. Nel dibattito che ne segue, data la sua importanza paragonato da Poland, nell'editoriale, alle
"controversial discussions" di Londra tra kleiniani e annafreudiani di alcuni decenni fa, intervengono G.O Gabbard, P.J. Casement, M. Crastnopol, G.L. Kantrovitz, R. Michels, e B. Pizer (quest'ultima, soprattutto, molto critica). Nello stesso numero vi sono articoli sullo stesso argomento anche di R.S. White (sulle differenze tra le tradizioni interpersonale e freudiana), di M.N. Eagle, D.L. Wolitzky & J.C. Wakefield (una critica alla
"new view" in psicoanalisi, soprattutto riguardo a Mitchell e Renik - testo questo di un seminario che Eagle presentò a Milano il 13-5-2000 ), di R.H. Tuch (sulla autorità dell'analista), e di C. Hanly & M.A.F. Hanly (su aspetti filosofici della soggettività). Questo dibattito, che vuole anche essere un modo di ricordare Mitchell, testimonia come il suo pensiero abbia enormemente influenzato la psicoanalisi tradizionale, e come questa si sforzi di elaborare e rispondere alle sue idee.
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