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  Storia di Castelcorniglio

Le prime notizie di Castelcorniglio risalgono al XIII secolo. Costituiva una "casaforte" eretta in posizione strategica dai conti Rugarli, signori di Specchio dove avevano il castello in cui risiedevano. Molto probabilmente, i Rugarli erano vassalli del Principe Landi, il cui stato aveva come capitale Bardi. Il confine del feudo Rugarli era segnato dal Torrente Pessola, che tuttora marca quello tra la diocesi di Piacenza-Bobbio (a cui appartiene la parrocchia di Specchio) e quella di Parma (a cui appartengono la parrocchia di Solignano e Prelerna). I Landi nel 1867 cedettero i loro diritti feudali ai Farnese, Duchi di Parma e Piacenza, ai quali passò pertanto la sovranità dei territori dei vassalli.

Lo stemma dei Rugarli è tuttora ben visibile sopra la porta all'ingresso del fabbricato civile di Castelcorniglio (dopo il secondo cortile). Nel 1802, il Ducato di Parma (nel frattempo passato dai Farnese ai Borbone) fu conquistato dai Francesi guidati da Napoleone Bonaparte, che lo incorporò nei territori sottoposti alla sovranità della Repubblica francese: i feudi vennero aboliti, i Rugarli abbandonarono Specchio con Castelcorniglio, che fu acquistato dalla famiglia Zanetti di Carpadasco, i quali vi resteranno per un secolo, trasformando la casaforte in civile abitazione. Tommaso Zanetti sarà podestà di Varsi; mentre il fratello Filippo sarà podestà di Solignano nel 1848, quando coraggiosamente rifiuterà di cedere alla protervia dei militari austriaci giunti sino a Castelcorniglio (dove era il Municipio) per reprimere ogni velleità risorgimentale, posto che con il ritorno dei Borbone (Carlo II), l'Austria-Ungheria esercitava una sorte di protettorato sul Ducato di Parma. Filippo Zanetti tuttavia abbandonò ben presto ogni simpatia liberale, assunse invece posizioni conservatrici e clericali, immergendosi in studi biblici e mariani. Fu autore di saggi religiosi e politici. A lui sono dovute le lapidi con versetti biblici riportate all'uscita dei cortili, la cappella dedicata a Sant'Antonio, il bassorilievo in pietra posto a sinistra del portone di ingresso del quarto cortile (ai lati dell'immagine sacra, si vedono le testine dei committenti, i fratelli Tommaso e Filippo) e la lapide in marmo in una stanza del castello, dove gli sarebbe apparsa la Vergine Maria, nonché il pilone della "Fosa" dove qui le giovani usavano offrire in voto le proprie trecce.

Filippo Zanetti era prozio di Francesco (Cino) Zanetti, il maggior poeta della montagna parmense, allievo di Carducci, autore dei poema "La Canzone dei Monte", rimasto incompiuto dopo che alcuni canti furono pubblicati separatamente in fascicoli e su Aurea Parma. Cino Zanetti fu anche redattore dell'Osservatore Romano ed esponente della "Giovane Montagna", associazione giovanile cattolica antifascista dell'omonima rivista, diretta dall'On. Avv. Giuseppe Micheli (deputato del Partito Popolare e ministro della Repubblica).

Francesco Zanetti morirà "esule" a Roma nel 1938 ed è sepolto nel piccolo cimitero di Carpadasco. Poco dopo la morte (1902) di Filippo Zanetti, i numerosi pronipoti vendettero la tenuta di Castelcorniglio a un banchiere bergamasco, Giuseppe Zanchi, ai cui discendenti appartiene tuttora. Gli stemmi in pietra che si possono vedere dal secondo cortile sono appunto quello dello Zanchi e della moglie Angiola Cassone, che recuperò il primitivo aspetto del "castello" ripulendo le mura degli intonaci e ripristinando la merlatura. A lei si deve anche l'oratorio a protezione dei pilone della Madonna della Fosa.

Castelcorniglio era completamente isolato sino agli anni 1950: non vi era la luce elettrica, e quando il Pessola era in piena , non vi erano né ponti né strade che lo collegassero ad altri centri abitati. Era luogo di sosta per viandanti; negli anni della prima guerra mondiale, un girovago, ospitato nel fienile lasciò scritto sul muro "qui passò Giuseppe Pianetti che uccise sette persone": si trattava di un famoso bandito bergamasco, autore di una tragica vendetta nei confronti di coloro ch'egli riteneva causa delle sue disgrazie. Del Pianetti non si seppe mai più nulla. Intorno al Castello aleggiano leggende, che narrano di un pozzo a sette lame, in cui venivano fatti precipitare gli ospiti sospetti nemici; di folletti che intrecciavano le criniere dei cavalli nelle stalle; di notturne cavalcate selvagge di fantasmi...

Castelcorniglio era una comunità dei tutto autarchica, una "bioregione" autosufficiente: non soltanto perché il pane era fatto con la farina del grano coltivata in loco, macinata nel mulino a pietra e cotta nei forni familiari a legna, e pure erano quivi prodotte le carni ed i latticini, e la canapa, ivi coltivata, era filata così come la lana e tessuta nei telai familiari, ma si coltivava persino il riso, mentre il caffè era ottenuto con l'orzo e con le ghiande tostate. Vi era anche una "peschiera" per la pescicoltura. Infine, l'argilla locale veniva utilizzata per i mattoni, prodotti nella fornace di Castelcorniglio situata sulla sponda del Pessola. I folti boschi fornivano castagne e prezioso legname, che agli inizi di questo secolo si tentò di sfruttare industrialmente facilitandone il trasporto con un trenino che risaliva la valle dei Pessola e che fu travolto in una delle non infrequenti piene.

Nel 1944, sino alla fine della guerra, Castelcorniglio fu sede dei distaccamento "Jezzi" della 31a brigata Garibaldi "Copelli"; da qui partirono azioni di guerriglia e di sabotaggio della linea ferroviaria Parma-La Spezia, con il pieno appoggio delle popolazioni locali, testimoni della fiera tradizione di libertà della gente della montagna, già ribellatasi al dispotismo straniero ai tempi della dominazione napoleonica.

Tano Buràt [Gaetano Buratti]

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